Delle
missioni impossibili si dice
che sia un po’ come raccogliere il mare con un cucchiaino. Regina
Egle Liotta in Catrambone si è prefissata, insieme al marito
Christopher, di salvare i migranti, raccogliendoli
dal mare appunto, e
concretizzando
un gesto umanitario che di impossibile
non ha nulla. Nel 2013, dopo il
terribile naufragio a Lampedusa che causò centinaia di vittime, i
due coniugi hanno fondato
l’organizzazione
umanitaria internazionale MOAS, Migrant Offshore Aid Station, che
negli anni ha ampliato il suo campo di intervento con missioni
umanitarie in Ucraina, progetti di formazione, forniture mediche,
aiuti nutrizionali, fino all’accoglienza in famiglia dei rifugiati.
Da questa esperienza è nato
il libro Raccogliere il mare con un
cucchiaino, pubblicato da Città
Nuova. Nel volume, che non ha la pretesa
di essere un saggio di geopolitica,
Regina Catrambone, che nel 2015 è stata insignita dal Presidente
della Repubblica Sergio Mattarella dell’onorificenza ufficiale
dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, racconta la
sua esperienza umanitaria.
"Ho
deciso di scrivere questo libro per stimolare un dialogo costruttivo,
che possa aiutare a gettare luce sui fenomeni migratori, nonché a
superare le paure che ne derivano. Le storie e le riflessioni di cui
parlo sono strettamente connesse alle vicende della mia famiglia, che
ha deciso di utilizzare i propri talenti e le proprie risorse per
aiutare gli altri. Non agiamo come singoli, ma ognuno di noi
contribuisce con
il proprio bagaglio di esperienze e competenze per raggiungere il
fine comune di perseguire quella che io chiamo la “globalizzazione
della solidarietà". Vorrei che questo libro servisse a
riattivare il dialogo costruttivo all’interno delle famiglie, nelle
scuole, nelle università sui temi dell’accettazione e della
condivisione".
L’approccio di Catrambone alla questione migratoria non è solo umanistico-solidale. Non c’è solo la voglia di fare che, spesso se non accompagnata dalle giuste competenze, fallisce in poco tempo o ha addirittura l’effetto contrario rispetto alle intenzioni benefiche. Dietro all’azione di tutta MOAS c’è la capacità imprenditoriale al servizio degli aiuti umanitari.
Ad
esempio l’ong aveva colto in tempi non sospetti il ruolo
fondamentale che i droni avrebbero potuto avere nel controllo del
mar Mediterraneo meridionale. Oggi diversi Governi li utilizzano
nelle attività di controllo delle frontiere, un aiuto militare per
arrivare dove Marina e guardie costiere faticano.
Per
Regina Catrambone e il MOAS invece
i droni possono essere usati in modo
positivo, per
l’avvistamento
di imbarcazioni in pericolo e
come
supporto alle operazioni di salvataggio la cui velocità
di azione in mare è cruciale.
Il
racconto di Regina Catrambone si fa toccante quando racconta dei
migranti e dei richiedenti asilo incontrati nei suoi anni di
attività. Racconti a volte delicati, a volte più crudi con
testimonianze di violenze inimmaginabili.
Come il bambino che vorrebbe essere un
superuomo per difendere la madre dagli stupri nei campi in Libia. Un
bambino già adulto, che ha conosciuto
il dolore troppo presto. Ogni incontro,
ogni racconto, è denso di umanità. I migranti non sono più una
folla anonima, un numero
statistico. Diventano occhi e mani, corpi e sentimenti. Cosa che
troppo spesso
sembrano dimenticare i vertici delle istituzioni che nel gioco della
politica, sulla pelle dei richiedenti asilo, imbastiscono
ideologie e bracci di ferro con altri governi o dentro l'Unione europea.
Molto utili allora alla fine del libro sono i riferimenti alle norme e alla loro evoluzione in tema di migranti, incasellati in cavilli spersonalizzanti, dove contano i numeri, i flussi e non le persone. Un libro alla portata di tutti, anche di chi il fenomeno delle migrazioni lo ha incontrato solo al telegiornale e non ha mai visto un migrante fatto di carne e sangue, essere umano come chiunque. E allora diventa fondamentale il dizionario delle parole di uso comune su questo tema. Dove il termine emigrazione è visto come l’esatto contrario di una emergenza: "Spostarsi è una esigenza vitale che può essere gestita e che va trattata come un fatto costante". O si capisce perché spesso si usi il termine “frontiera” al posto di “confine”, naturale demarcazione geografica, invece del più temibile frons frontis latino, che rimanda ad antiche paure. Fino ad arrivare a smentire chi pensa che i migranti ci vogliano togliere qualcosa, il lavoro, la pace sociale, addirittura le donne e l’identità nazionale: "Integrazione viene dal latino integer che significa intero. Quindi è un processo che aggiunge qualcosa in modo da rendere intero qualcos’altro".