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Inumana: il melologo di Rossella Spinosa e Laura Silvia Battaglia racconta il Medio Oriente delle persone

la recensione di Cristina Giudici

Nel melologo in quattro atti per pianoforte e voce composto e suonato da Rossella Spinosa, scritto e interpretato dalla giornalista Laura Silvia Battaglia si ascolta una voce calda e appassionata, spesso emozionata, che ha scavato nei sentimenti di diversi personaggi, protagonisti della guerra in Medio Oriente. Con uno sguardo che non si può ignorare. Con delle lacrime che non si può fare a meno di piangere. Rossella Spinosa, pianista e compositrice di musica contemporanea, interagisce con una composizione ispirata alla guerra che è potente e mette a dura prova le corde emotive dei presenti in sala. 

All’unica rappresentazione milanese di INUMANA al museo del Novecento, organizzata all’interno del Festival 5 giornate di Milano il 18 marzo scorso, sembrava di essere lì, nella striscia di Gaza devastata dalla guerra e ridotta in macerie. E anche là, nei kibbutz al Sud di Israele dove all’alba del 7 ottobre è cominciata con un pogrom l’ultima guerra del conflitto fra Israele e la Palestina, forse la più cruda, la più complessa, la più disperata: quella che ha creato un buco nero nella coscienza di tutti. Impossibile da razionalizzare. Ecco perché il melologo non circoscrive fatti, non esprime concetti o giudizi, ma restituisce i dolori e lo smarrimento di tutti gli attori coinvolti nella guerra, facendo ricorso alla dimensione spirituale che resta l’unica luce oltre il tunnel. Quello vero, dove Hamas tiene gli ostaggi, quello immaginato dove si proiettano le anime di chi muore.

“Cosa succede a un essere umano, privato della sua volontà e del suo corpo, soggiogato in una condizione di costrizione, di contenimento fisico ed emotivo? E cosa può significare tutto questo se diventa la modalità di negoziazione di un conflitto centenario, ormai difficilmente risolvibile in una convivenza pacifica?” Queste sono le domande implicite nella trama di INUMANA. Se lo chiede uno spirito, ormai libero dal suo corpo, in attesa di essere traghettato dalla terra alla dimensione ultraterrena, intrappolato in un tunnel nella Striscia di Gaza. Uno spirito che il melologo utilizza per evocare la figura soprannaturale dei jinn della tradizione islamica. Il suo compito è quello di aiutare altre anime sospese tra la vita e la morte ad attraversare il passaggio oppure a fermarsi sulla soglia, a seconda del volere di Dio.

“Il fantasma del tunnel, allegoria ispirata a un fatto realmente avvenuto all’inizio della guerra a Gaza - un sodato israeliano che in diversi video ha affermato di non riuscire ad entrare nei tunnel perché vedeva ombre di creature non umane che ha fornito l’iniziale suggestione per creare questa trama - è il testimone del destino di cinque persone: una giovane donna ebrea ostaggio di Hamas; un soldato israeliano; un miliziano delle brigate al Qassam; una donna palestinese, intrappolata sotto le macerie della sua casa bombardata; un bambino su una lettiga in una sala operatoria improvvisata, sospeso fra la vita e la morte”, ci ha spiegato poi Laura Silvia Battaglia, esperta di Medio Oriente e nello spettacolo INUMANA attrice avvolta in una tunica bianca.

Su un rumore elettronico, sotteso all’intero svolgimento del plot per evocare il frastuono della guerra, il pianoforte e la voce recitante interagivano nell’azione scenica, creando un incontro artistico molto virtuoso ed emotivamente vibrante.

“Quando sono morto, ricordo bene, era stato un altro come me adesso che mi aveva fatto compagnia nel trapassare. Immagino non sia stato facile per lui. Non ero prontissimo. Avevo qualche esitazione”. Il Virgilio mediorientale immaginato da Laura Silvia Battaglia e reso potente dalla composizione di Rossella Spinosa serve a capire cosa potrebbe essere successo alle menti degli ostaggi, dei soldati israeliani che si accaniscono nella furia della vendetta ma poi si perdono. Attraverso la sua missione, il jinn traghetta le anime spaventate verso il trapasso, descrive il buio del tunnel come metafora della guerra e Laura Silvia Battaglia si cala sulla fronte una torcia accesa per far capire quanto buio possa essere il buio. “Ho solo saputo che questa è una terra molto affollata di anime che trapassano. Di solito è così quando c’è una guerra e sembra che questa sia terribile. Chi ha fatto questo servizio prima di me, mi ha detto che saprò riconoscere le anime che mi sono state assegnate. Dovrò aiutarle ad accettare la morte e a non avere paura” perché poi qualcuno la vede la luce della pace, di un luogo sospeso dove si va dopo essere stati ammazzati.

Sarebbe stato meglio che non fossi andata. Invece Zahot aveva insistito. Era da tanto che non tornavo a un rave. Il profumo, la leggera umidità del deserto. Poi l’alba e noi ancora lì, felici, ballando dopo l’amore. Non avrei chiesto di più, in quei venti giorni di licenza per Sukkot, la festa delle Capanne” (..) Mi ero detta, dentro di me, non so ancora perché: “Chi non ama adesso, questa mattina, non amerà”. Ed è stato vero”, ricorda nel melologo una soldatessa israeliana che viene presa in ostaggio e dalla dolcezza intensa della festa, dell’amore, delle luci del deserto, passa al terrore che non aveva previsto, neanche immaginato. “Chi sei, mostro? Chi siete? Siete rimasti umani? Cosa volete da me? Sono solo una ragazza. Ho dovuto fare il militare, tutti in Israele facciamo il militare. Forse che anche voi non avete imparato ad usare le armi? (...) Sono passati troppi giorni. Dammi da bere, ti prego. Ho sete, ho sete”.

Senza soluzione di continuità fra la musica che è una scudisciata e i personaggi - tutti interpretati da Laura Silvia Battaglia - il soldato dell’IDF irrompe nel racconto del melologo con i ricordi del nonno deportato, di altre anime rimaste senza pace dopo la Shoah. E guarda la guerra negli occhi che aveva solo intravisto in un videogame: “Non pensavo che avrei mai fatto la guerra, quella vera. La sognavo, davanti alla playstation. La volevo, durante le esercitazioni. Ma adesso viene il bello ed è tutta un’altra cosa. Non sempre sono stato così convinto: c’è stato un momento che ero quasi pacifista”. Assetato di vendetta, accecato dalla furia, ha un cedimento davanti alla sagoma di una donna che come sua madre, accovacciata, muove sapientemente le mani per impastare il pane. La casa esplode con la gente dentro e lui si promette di essere ancora più spietato del suo compagno d’armi e fratello della nazione che deve difendere e far prevalere su quella mai costruita dai suoi nemici palestinesi. Il miliziano di Hamas ricorda invece il dolore per i familiari uccisi dagli israeliani. E dell’estasi del 7 ottobre, quando su fratello ha fatto” quello che mille di noi hanno sempre sognato di fare: dimostrare la debolezza di Israele, fare provare a loro quello che noi proviamo ogni giorno”. Invoca Allah e lo ringrazia per averlo protetto mentre lui eliminava un kuffar, un infedele, nella speranza di diventare shahid, un martire.

E poi arrivano le lacrime di una donna palestinese che ha sognato la libertà vagheggiata di fronte al mare di Gaza e poi si è rassegnata a vivere in una prigione a cielo aperto. E ora vuole andare via, chiede a Dio di prendere lei e salvare i figli perché da troppo tempo ascolta il suono del drone che le è entrato nel cervello e ricorda anche l’oppressione di Hamas, il carcere per un gesto di tenerezza in pubblico, il visto europeo rifiutato, la speranza che i suoi figli avrebbero trovato la via di uscita. E così le sue lacrime trattenute con dignità portano al pianto contenuto di chi ascoltava la musica di Rossella Spinosa, di chi vedeva l’autrice e interprete di tanti personaggi, molteplici timbri di voci, emozionarsi. Durante la rappresentazione di INUMANA, fuori c’era la piazza pacifica di Piazza Duomo, la luce del tramonto che entrava di sbieco attraverso le vetrate del Museo del Novecento, ma nessuno sembrava essere lì. Gli spettatori sono stati trasportati prima nel tunnel dal fantasma e poi messi in sintonia con le parole, le esitazioni, le certezze incerte, la furia e il dolore di chi vive in quel groviglio di terra benedetta e maledetta da chi la devasta in nome di un Dio, di un diritto vero o presunto, di un imperativo urgente che è difficile da capire e forse impossibile da spiegare. Eppure la potenza spirituale evocata dalle parole di Laura Silvia Battaglia e dalla musica di Rossella Spinosa, sembrava portare tutti gli spettatori lì con loro, nel cuore di quel bambino che lascia la sala operatoria per farsi anima, mentre tutti gridano e si affannano per salvarlo ma lui è già in pace perché “c’è una grazia speciale nello stare immobili sulla spiaggia e farsi accarezzare il viso dal calore del sole che scalda ma non brucia”. E alla fine del melologo, nessuno degli spettatori commossi ha chiesto una risposta alla domanda che è restata in sospeso: “Cosa resterà di noi, dove andremo, partendo da una condizione di vita divenuta ormai inumana”? Dolce, potente e devastante al contempo, l’opera concepita da due artiste, da un incontro felice fra una musicista e una giornalista diplomata al Conservatorio di Messina che ha fatto del Medio Oriente il suo oggetto di studio e di scelte sentimentali.

Cristina Giudici, giornalista

16 aprile 2024

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