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La catastrofe umanitaria a Gaza raccontata dal palestinese Yousef Hamdouna

membro della NGO Educaid e coordinatore del team dei progetti dedicati alle persone con disabilità nella Striscia

Dopo 6 mesi di guerra, la richiesta pressante per arrivare al cessate il fuoco nella striscia di Gaza arriva dalla comunità internazionale oltre che dalla società civile occidentale e anche da quella israeliana.
GariwoMag vuole raccontarvi una storia singolare di eccellenza e pace che si intreccia con le sorti della tragedia in Medio Oriente. E smonta anche alcuni stereotipi sulla popolazione civile palestinese assediata e bombardata dall’esercito israeliano. Partendo dalla missione Carovana Solidale organizzata un mese fa da AOI, l’associazione delle ong italiane, con una delegazione di circa 50 persone, composta da parlamentari, associazioni, ong, accademici e giornalisti per raggiungere il valico di Rafah e un obiettivo: ribadire la necessità di un immediato cessate il fuoco, chiedere la liberazione degli ostaggi, seguire il percorso dei convogli umanitari diretti nella striscia di Gaza, dove gli aiuti umanitari entrano con estrema difficoltà e si scontrano con tanti divieti da parte di Israele.
Fra loro c’era anche Yousef Hamdouna di Educaid che coordina il team nella striscia di Gaza di un progetto dedicato alle persone con disabilità: Il Centro della vita indipendente.


Yousef Hamdouna è nato e cresciuto nella striscia di Gaza e ha visto tante guerre, assedi, ma resta un uomo che crede nella pace. Ha 42 anni e appartiene alla generazione dei palestinesi che sono riusciti ad essere protagonisti della società civile. Ed è stato proprio a Gaza che è stato beneficiario, avendo anche una figlia con disabilità, di Educaid e poi, dopo una formazione, è diventato coordinatore dei presidi per i 1200 utenti registrati nel database di Educaid e dove prima del 7 ottobre c’erano anche due ludobus per dare ai bambini il diritto di giocare.
Tutti pensano che Gaza sia solo Hamas, ma anche nella West Bank gestita dall’autorità palestinese che ha firmato convenzioni internazionali, i diritti umani delle donne o degli omosessuali non sono permessi per via della tradizione della religione. Ma per quanto sia una società conservatrice, grazie all’avvento dei social media, è cresciuta una generazione di attivisti, artisti, difensori dei diritti umani, persone che amano la vita e sono contrari alla violenza. Abbiamo costruito una rete per disabili che hanno sempre subito uno stigma perché diversi”.

Come ad esempio NIENTE SU DI NOI SENZA DI NOI finanziata dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (A.I.C.S) per promuovere i diritti delle persone con disabilità attraverso l’empowerment delle loro organizzazioni, facilitazioni per l’accesso all’educazione inclusiva e l'introduzione della figura innovativa del peer counselor. Yousef Hamdouna è venuto in Italia anche per far crescere meglio sua figlia ma non voleva essere un privilegiato né abbandonare la sua comunità, la famiglia che ha sofferto l’occupazione, la guerra, ci ha raccontato...
Perciò fino al 7 ottobre faceva la spola fra Gaza e Rimini, dove si trova la sede di Educaid all’interno del C.E.I.S. (Centro Educativo Italo-Svizzero). “Sebbene io abbia sofferto vari traumi e avuto un’infanzia difficile sono stato fortunato, sono riuscito ad essere una protagonista della mia vita e lavoro perché sia così anche per tanti altri palestinesi, soprattutto se disabili. Con i social media, i giovani hanno avuto una finestra sul mondo che ha permesso loro di vedere esempi positivi, di capire che si poteva crescere oltre il contesto drammatico e chiuso. Con i progetti di Educaid, abbiamo creato consapevolezza, strumenti. ausili e presidi. Purtroppo ora si può fare poco, ma prima del 7 ottobre avevamo creato una rete che riesce ancora parzialmente a operare”, ci racconta Yousef.
“In questo tragico momento è importante che i disabili che lavorano nei progetti di Educaid non si sentano soli. Quasi tutti sono stati sfollati, ma cercano di fornire risposte ai bisogni delle persone disabili, bisogni che continuiamo a inserire nel nostro database perché cercare di fare qualcosa per altri è sempre meglio che stare fermi sotto una tenda ad aspettare di morire”. 

Yousef Hamdouna, responsabile del Centro per la vita indipendente a Gaza, ci ha spiegato che questo progetto è una realtà unica in Medio Oriente con 30 persone con disabilità palestinesi che fanno parte del team, e poi ci raccontato della sua partecipazione alla Carovana solidale andata a Rafah un mese fa. “Tutti hanno bisogno di cibo, acqua e medicine ma i nostri utenti soffrono ancora di più. Hanno bisogno di ausili e pannolini, dato che Israele non fa entrare bombole di ossigeno, bagni chimici, tende e, surreale, neanche biscotti al cioccolato perché considerati un bene di lusso”, ci ha detto. 
“La Mezza Luna egiziana ci ha raccontato di aver chiesto quali aiuti non potevano entrare per non perdere altro tempo prezioso, ma la lista non è mai arrivata. Si può aspettare anche 8 giorni perché entri un camion con gli aiuti umanitari. La missione è stata utile per accendere i riflettori sulla catastrofe umanitaria, per sensibilizzare politici e giornalisti, ma non per sbloccare gli aiuti”. Yousef Hamdouna ha visto con i propri occhi le migliaia di convogli con aiuti umanitari bloccati al confine così come ha visto ausili per persone con disabilità, bombole d’ossigeno, incubatrici, bagni chimici sequestrati dall’esercito israeliano. “Prima del 7 ottobre, entravano 500 camion ogni giorno per garantire la sopravvivenza dei palestinesi. Ora, quando va bene sono duecento, ma restano bloccati per giorni ed è una tragedia immensa”. Nonostante ciò Yousef continua a credere nella pace, “ma una pace senza giustizia e autodeterminazione ad avere uno Stato non è possibile”, conclude.
Nel frattempo lui continua a lavorare per coordinare il suo team a Gaza, a registrare i bisogni delle persone con disabilità, a cercare di dare supporto e mettere in connessione le persone sfollate con realtà umanitarie che possano dare supporto. E soprattutto a ricordare a tutti quelli rimasti intrappolati nella guerra, vittime della catastrofe umanitaria che non sono soli.

Cristina Giudici, giornalista

10 aprile 2024

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