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Le riflessioni di un gazawi in fuga: "Che bisogno c'era di distruggere scuole e università?"

Intervista di Manuela Dviri

Manuela Dviri intervista Youssuf, un cittadino gazawi costretto ad abbandonare la propria casa a causa degli attacchi israeliani che ora vive all'estero con la sua famiglia. Dviri e Youssuf dialogano sulla guerra, sul 7 ottobre, sulla possibilità o meno di ragionare su un futuro condiviso.

Quando siete usciti da Gaza? 
Il 22 marzo. Data che ricorderò per sempre in bene e in male. In bene perché sono riuscito a salvare la mia famiglia, i miei figli, mia moglie. In male perché è brutto lasciare dietro di te la tua casa, i tuoi ricordi, i parenti e la tua patria.

In che modo questa guerra è diversa da tutte le altre guerre di Gaza con Israele?
In moltissimi modi. È stata superata una linea rossa che secondo me non va mai superata. Nelle altre guerre non avevano mai colpito moschee o ospedali o scuole, questa volta sì.

Ma nelle altre guerre non c’era stato un 7 ottobre, e quindi neanche una offensiva all’interno di Gaza. E nelle altre guerre l’esercito aveva capito in che luoghi avevano imparato a nascondersi i miliziani.
Mah. Sarà. Da anni si parlava dell’ospedale di Shifa e di cosa si nascondeva nei suoi tunnel ma alla fine non c’era chissà cosa.

Ma più tardi sono stati scoperti i tunnel che si trovavano sotto. In tutti gli anni in cui costruivano i tunnel e ci portavano armi non vi siete accorti di nulla? Erano praticamente sotto i piedi…
Certo, sapevamo che i gruppi armati si stavano organizzando sottoterra come già avevano fatto gli Hezbollah, ma non sapevamo come e dove buttassero la sabbia o la terra. Finché non vedi una montagna di terra davanti a casa non ti chiedi da dove diavolo sia arrivata. O se serva per costruirci una casa o un tunnel. Non pensi ai tunnel mentre vivi la tua quotidianità.

Ti ha stupito la risposta israeliana al 7 ottobre?
Si, la sua violenza. Noi sappiamo che Israele ha capacità tecnologiche straordinarie, quindi non capisco perché pur di uccidere un ricercato ne ammazzino altre trecento, buttando giù un intero palazzo. Sono state distrutte tutte le infrastrutture, le scuole, università. Che bisogno c’era di farlo?

Forse per riportare la deterrenza. Hamas aveva dichiarato che se non fossero riusciti a mettere in ginocchio e a distruggere Israele, lo avrebbero fatto la prossima volta. E in più l’odio e il tipo di violenza subiti il 7 ottobre erano inimmaginabili. Molti israeliani che vivevano a Otef Aza, cioè nella zona limitrofa alla striscia, dicono con dolore che persino i palestinesi che conoscevano non si sono più fatti vivi dopo il 7 ottobre.
Noi ci siamo sentiti fin dai primi giorni, forse per altri è stato più difficile.

Cosa hai provato il 7 ottobre?
Come voi, anche noi eravamo a letto. Era mattina presto quando tutto è iniziato. Ne sono stato sorpreso tanto quanto te. Vivevamo anche noi – allora- vite normali. Non era successo nulla di particolare nei giorni precedenti quindi non ci si aspettava nulla di simile. Io ho cercato prima di tutto di capire. E non potevo sapere se fosse tutto vero. Neanche voi all’inizio avete capito cosa era successo. Ma già sapevo che ci aspettavano giorni terribili.
Se la guerra tra esercito israeliano e i miliziani è “normale”, non lo è con i civili. Io sono padre, marito, fratello, figlio. Non vorrei che nulla di simile a quello che è successo sei mesi fa a voi succedesse a loro. E pensare che si sono anche filmati che i miliziani stessi e gli idioti che li hanno seguiti hanno messo in rete… Non siamo dei selvaggi che vivono nella giungla. Ci sono mezzi che non vanno usati. Non sono quelli i modi per ottenere la propria libertà. Né tantomeno quelli dei coloni in Cisgiordania per dirla fino in fondo.

Quali sono i tuoi sogni per il futuro?
Dipende. Noi abbiamo sofferto e stiamo ancora molto soffrendo per il governo di Netanyahu, anche se abbiamo sofferto anche con i governi precedenti. Bibi può creare alleanze finché vuole con l’Arabia Saudita o gli Emirati ma la stabilità di questa terra passa attraverso un accordo con i palestinesi. E in questo momento siamo in mano a un conflitto ideologico di estremisti messianici da entrambe le parti. Ciò malgrado dobbiamo trovare il modo per convivere.
I sogni e la realtà sono molto diversi. Io lo so benissimo che Jaffa e Haifa sono palestinesi ma sono abbastanza razionale da accettare la realtà, cioè che ora sono israeliani. Persino Hamas che voleva riprendersi tutta la Palestina dal fiume al mare (cioè Israele, ndr) ha capito e adesso si accontenta dei confini di prima del 1967 e la guerra dei sei giorni.

Io non ci credo, ci hanno provato anche in passato a dirlo, secondo te se ci fossero adesso le elezioni a Gaza, chi sarebbe eletto?
Non ci saranno elezioni.

Facciamo finta.
Non Hamas, sicuramente. Invece, in Cisgiordania probabilmente vincerebbero loro. Grazie al comportamento dei coloni. Gli estremisti messianici lavorano l’uno per l’altro.

Ne verremo mai fuori?
Bisogna davvero volerlo con grande forza.

In che modo lo si potrà realizzare?
Attraverso progetti come A land for All, per esempio. Una terra per tutti. C’è davvero posto per tutti. Per due nazioni, anche per tre.

Foto in copertina di Şeyma D.

Manuela Dviri, giornalista e scrittrice

2 maggio 2024

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