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Le tappe dell'odio - il Genocidio dei tutsi in Ruanda

Dalle parole alla distruzione: come nasce un genocidio

Questa scheda fa parte del dossier di Gariwo "Le tappe dell'odio", un'analisi comparata su alcuni dei principali genocidi del XX secolo coordinata dalla redazione di GariwoMag e scritta da Alessandra Colarizi, Tatjana Đorđević, Anna Foa, Françoise Kankindi, Pietro Kuciukian. A scrittori e studiosi di genocidi abbiamo chiesto di raccontare le tappe dell'odio che hanno portato ai diversi genocidi, cercando di capire in che modo le parole e le azioni di politici, media e persone comuni hanno forgiato i sentimenti d'odio che hanno condotto al male estremo. Lo schema è quello di The Ten Stages of Genocide, la formula coniata nel 1996 da Gregory H. Stanton, presidente di Genocide Watch. Le otto "stazioni dell'odio" che creano le condizioni per un genocidio sono: classificazione, simbolizzazione, discriminazione, disumanizzazione, organizzazione, polarizzazione, preparazione e persecuzione. La nostra analisi comparata si ferma lì, prima delle ultime due tragiche tappe: lo sterminio e la negazione. 

In questa scheda Françoise Kankindi racconta le otto tappe che hanno condotto al Genocidio dei tutsi e degli hutu moderati in Ruanda.

Dal 6 aprile al 16 luglio 1994 si compie in Ruanda il genocidio dei tutsi e degli hutu moderati, per mano dell’esercito regolare e degli interahamwe, milizie paramilitari. Il movente ideologico fondamentale è l’odio razziale verso la minoranza tutsi, che aveva costituito l’élite sociale e culturale del Paese. In soli 100 giorni perdono la vita circa un milione di persone, uccise soprattutto con machete, asce, lance, mazze. Lo sterminio termina con la vittoria militare del Fpr, Fronte patriottico ruandese, espressione della diaspora tutsi. Come si è arrivati a una tragedia di tale portata, in così poco tempo?

1. CLASSIFICAZIONE
La categorizzazione delle persone viene esacerbata. Esiste una divisione tra “noi” e “loro” che viene attuata utilizzando stereotipi o escludendo persone percepite come diverse.

Il popolo ruandese è stato classificato per la prima volta dai coloni belgi in hutu, tutsi e twa in base a una presunta diversità dei tratti sommatici: gli hutu, agricoltori, erano la maggioranza riconducibile all’etnia bantu diffusa in Africa; i tutsi, pastori, erano la minoranza riconducibili all’etnia hamitica provenienti dall’Etiopia; i batwa erano i pigmei riconducibili alla popolazione della foresta equatoriale. I tutsi detenevano il potere da secoli attraverso la monarchia, il re e i suoi dignitari erano tutsi. I belgi, applicando il motto divide et impera, scelsero i tutsi come braccio destro della loro amministrazione coloniale, li usarono per far infliggere le punizioni corporee agli hutu che non avevano coltivato le quantità imposte di caffè e tè da esportare. Da ciò iniziò l’odio tra hutu e tutsi, che fino allora avevano vissuto in armonia.

2. SIMBOLIZZAZIONE
Una manifestazione visiva di odio. 

Le carte d’identità introdotte dai belgi riportavano l’etnia di appartenenza. Eppure non si trattava di etnie, visto che tutti i ruandesi parlavano la stessa lingua, praticavano la stessa religione e i matrimoni misti erano numerosi, rendendo di fatto impossibile la distinzione netta tra hutu e tutsi. Le case dei tutsi vennero marchiate, quartiere per quartiere. Ai posti di blocco, durante il genocidio, veniva chiesta l’esibizione della carta d’identità e per i possessori di quelle in cui era scritto "tutsi" era pronto il machete!

3. DISCRIMINAZIONE 
Il gruppo dominante nega i diritti civili o addirittura la cittadinanza a gruppi identificati. 

Durante il periodo della decolonizzazione dell’Africa, furono i Tutsi a chiedere l’indipendenza e i Belgi si vendicarono lasciando il potere agli Hutu dicendoli che spettavano a loro come maggioranza e che i Tutsi erano i nemici da eliminare. Così nel 1959, ci fu il primo genocidio dei Tutsi mai riconosciuto come tale. Molti di loro fuggirono nei paesi limitrofi quelli che rimasero furono discriminati in qualsiasi ambito, non avevano alcun diritto. Ogni decennio, venivano organizzati dei pogrom dove venivano massacrati, migliaia di Tusi, le loro case bruciati, il loro bestiame rubato senza alcuna conseguenza, anzi gli assalitori venivano promossi ne migliori posti di governo.

4. DISUMANIZZAZIONE
Coloro che sono percepiti come “diversi” vengono privati di ogni forma di diritti umani o dignità personale. 

 Durante i governi guidati da presidenti hutu, i tutsi venivano considerati dei reietti, chiamati comunemente inyenzi, cioè scarafaggi. I pochi bambini che riuscivano ad accedere alle scuole subivano soprusi di ogni genere. La mattina, quando gli insegnanti facevano l’appello, chiedevano ai bambini tutsi di alzarsi e venivano maltratti di fronte ai compagni. I Tutsi camminavano con lo sguardo abbassato, per paura di essere arrestati o picchiati dalla polizia senza alcun motivo. Erano ibyitso, cioè spie.

5. ORGANIZZAZIONE 
I genocidi sono sempre pianificati. I regimi di odio spesso addestrano coloro che poi portano avanti la distruzione di un popolo.

Il genocidio dei tutsi in Ruanda non è stato un incidente di percorso della società, ma un suo prodotto. È stato un progetto coltivato per anni che ha coinvolto tutto l’apparato governativo: l’esercito, le milizie interahamwe, il clero e la popolazione. I massacri dei tutsi sono stati l'esito di una cronologia della discriminazione puntuale, preceduta da pogrom, attacchi diretti alla luce del sole, insegnati nelle scuole e università e diffusi nei giornali e in radio. La macchina organizzativa del genocidio è stata così efficace e capillare che chiunque si fosse opposto a quello che era diventato il “lavoro”, cioè uccidere i vicini tutsi, veniva a sua volta ucciso di fronte a tutti, come esempio da non seguire.


6. POLARIZZAZIONE 
La propaganda inizia a essere diffusa da gruppi di odio. 

Radio Mille Colline, la più popolare delle emittenti ruandesi, è stata uno dei protagonisti della mobilitazione di massa delle milizie genocidarie, diffondendo canzoni e filastrocche piene di odio, insistendo minuto per minuto sul dovere di ogni hutu di andare a compiere il proprio lavoro, cioè debellare dal paese gli “scarafaggi” Tutsi. I conduttori dei programmi si prodigavano nella retorica dell’odio accompagnandosi con una cantilena contro i tutsi di sinistra allegria. I media hanno costituito uno spazio senza censura, per moltiplicare con ostentazione la volontà del potere di sterminare la minoranza tutsi. Nei programmi radiofonici i giornalisti davano voce ad accademici, a casalinghe e a contadini hutu che denunciavano i soprusi dei vicini tutsi, ai parroci che denunciavano i loro fedeli.

7. PREPARAZIONE 
Gli autori pianificano il genocidio. Spesso usano eufemismi come la frase nazista “ soluzione finale” per mascherare le loro intenzioni. Fomentano paura nei confronti del gruppo delle vittime, costruendo eserciti e armi.

L’organizzazione delle milizie tra i giovani hutu, l'incitamento dei media, la retorica sanguinaria dei politici, l'adesione di buona parte del clero e la mobilitazione di tutti gli apparati dello stato erano tesi al raggiungimento dell’obiettivo finale di sterminare tutti tutsi fino al bambino in grembo alla madre che veniva sventrata e uccisa insieme al feto. la preparazione del genocidio ha sempre inculcato nella maggioranza della popolazione Hutu il sentimento di una minaccia da parte della minoranza Tutsi. Nella caccia al tutsi, il disprezzo e l'odio si tocca con la mano denigrando il Tutsi come “insetto” o sub-umano pur percepito come “superiore”.

8. PERSECUZIONE 
Le vittime vengono identificate in base alla loro etnia o religione e vengono stilate liste di morte. Le persone a volte vengono segregate in ghetti, deportate o fatte morire di fame e le proprietà vengono spesso espropriate. Iniziano i massacri con intento genocidario.

Il ruolo dei reparti speciali fu interpretato dalle spietate milizie degli interahamwe, ma il lavoro di uccisione fu collettivo, l'intera popolazione hutu fu chiamata alla mattanza e rispose alla mobilitazione, travolgendo ogni tipologia di relazione: il vicino uccideva il vicino, la moglie hutu il marito tutsi, il professore i suoi studenti, il parroco i suoi fedeli. Ogni categoria, ogni ruolo nella società fu impiegato per partecipare al genocidio: dal prefetto alla suora. A differenza della Germania, anche i bambini parteciparono attivamente agli omicidi, ed erano gli aguzzini più temuti, perché i loro colpi di machete raramente riuscivano a uccidere, lasciando le vittime con atroci ferite e amputazioni. Spesso le vittime pagavano per essere uccise dagli adulti per evitare di imbattersi nei bambini armati.

Françoise Kankindi, Bene Rwanda

18 gennaio 2024

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