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Giornalista anglo-saudita minacciata dagli estremisti islamici

Mona Eltahawy ha denunciato la misoginia dell'Islam

Mona Eltahawy è un'editorialista del New York Times "e commentatrice e scrittrice pluripremiata", dice la breve biografia inclusa nel suo libro Perché ci odiano, edito da Einaudi nel 2015. 

Inglese originaria dell'Arabia Saudita, è stata riportata nel Paese arabo dal padre a 15 anni dopo l'infanzia vissuta in Gran Bretagna. Qui ha dovuto portare il velo ed è stata vittima di molti soprusi, soprattutto violenza fisica

Quindi si è ribellata ed è diventata giornalista. Ha così raccolto molte storie di donne musulmane, che secondo i suoi resoconti sono intrappolate nella misoginia diffusa nel mondo arabo. 

Si batte contro tutte le tendenze più autoritarie delle teocrazie musulmane, dall'odio per le lingue occidentali all'imposizione del velo, fino ad alcune pratiche che in realtà non appartengono proprio all'Islam, ma a volte vi sono tollerate, come le mutilazioni genitali femminili

Il suo libro è un atto d'accusa contro l'odio che Mona Eltahawy afferma esistere nel mondo islamico contro le donne. "Gli uomini non ci odiano perché siamo libere, come recita lo stanco cliché americano post 11 settembre. Noi non godiamo di alcuna libertà perché gli uomini ci odiano..." Quindi, l'odio di cui al titolo è una catena sia per chi lo prova, che per chi lo subisce.

Mona Eltahawy non scrive un pamphlet, nonostante il carattere vessillare del titolo e i numerosi appelli che rivolge alle donne musulmane a ribellarsi nella vita quotidiana, nella cultura e nella politica. Si tratta invece di un testo riccamente documentato, dove si ripercorrono numerosi eventi politici, come ad esempio conferenze internazionali sulle donne o campagne di associazioni contro varie forme di violenza ai danni di donne e bambine, ricostruendole nei dettagli con i nomi e cognomi, chi ha detto che cosa, le aspettative e gli esiti più o meno riusciti.

La giornalista cita anche una vasta letteratura al femminile del mondo arabo e in via di sviluppo, partendo da Vista del minareto in lontananza di Alifa Rifaat per arrivare ad autrici come Gloria Anzaldúa, una femminista di origine brasiliana che ha scritto: "Scrivete con occhi pittori, orecchie musiciste, piedi ballerini. Siete gli araldi della verità con penna e torcia. Scrivete con lingue di fuoco. Non permettete alla penna di bandirvi da voi stesse. Non permettete che l'inchiostro si coauguli nel pennino. Non permettete al censore di spegnere la scintilla, ai bavagli di soffocare la vostra voce".

Mona Eltahawy parla spesso di situazioni estreme, nelle quali, nonostante l'inizio di un percorso di libertà che qualcuno ha pure intravisto nelle Primavere Arabe, le donne muoiono fisicamente e nell'anima per le violenze subite. Sicuramente non è politicamente corretta. Però cerca di liberare le donne anche dal risentimento, invitandole a essere creative e a costruirsi una strada, una professione, la famiglia che desiderano loro e fare una vita anche intellettuale e artistica. 

Turchia, Yemen, Egitto, il suo libro è tutto una denuncia di leggi antiquate, fatti di cronaca e vicende individuali che hanno portato la Eltahawy stessa a essere quotidianamente minacciata dai fondamentalisti per avere messo in luce quello che lei chiama un "cocktail di violenza e religione" inaccettabile, di cui fanno le spese sempre e ineluttabilmente le persone più deboli.

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