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Il Nobel Svetlana Aleksievic, scrittrice coraggiosa

colloquio con il traduttore Sergio Rapetti

Sergio Rapetti

Sergio Rapetti

Anna Maria Samuelli ha intervistato Sergio Rapetti, consulente editoriale e traduttore dei più importanti testi di saggistica e letteratura russa e sovietica del periodo del “dissenso”. Tra gli autori, per citarne solo alcuni, Solženicyn, Sinjavskij, Šalamov, Sacharov, Čukovskaja, Vojnovič, Akunin, Averincev, Makanin, Mel’gunov, Volos. Recentemente ha tradotto e curato l’edizione italiana di alcune opere inedite di Solženicyn. Ha promosso e tradotto le opere di Svetlana Aleksievič fin dall’inizio e in novembre uscirà il quinto libro dell’autrice premio Nobel 2015, La guerra non ha il volto di donna.

Sergio Rapetti, Lei conosce e frequenta da 15 anni Svetlana Aleksievič, ha tradotto in italiano 4 suoi libri e sta lavorando al quinto, sull’ “epopea” delle donne sovietiche sul fronte della guerra tedesco-sovietica. Come ha accolto la notizia del conferimento del Nobel alla scrittrice?

Naturalmente mi ha fatto molto piacere. E considero Svetlana Aleksievič una scrittrice importante e coraggiosa, pienamente meritevole dell’alto riconoscimento. Dopo Bunin, Šolochov, Pasternak, Solženicyn, Brodskij che, ognuno con le sue caratteristiche, hanno evidenziato davanti al mondo l’importanza e il valore universale di una letteratura che, a proposito, è un elemento importante dell’autocoscienza del popolo russo stesso, finalmente una donna. Le lettere russe, specie la poesia del XX secolo, ne hanno più di una. Però ci tengo a precisare un aspetto legato anzitutto al carattere del prestigioso Premio. Esso pone l’accento non solo sulla qualità artistica in sé ma sui meriti, per così dire, “in campo sociale” dell’autore. Ebbene, io vorrei non fosse trascurato, accanto a questo elemento che ha il suo peso, il valore prettamente letterario del lavoro di Aleksievič, l’elaborazione di un genere di narrativa documentaria che trasforma in “romanzi di voci” i racconti di centinaia di testimoni e protagonisti di drammi epocali.

Se le donne degli eroici vigili del fuoco e militari morenti per aver raccolto le scorie radioattive “a mani nude” nella centrale esplosa di Černoby l'hanno potuto far sentire il loro strazio; se madri e vedove di militari dell’Armata Rossa, spesso reclute ignare, mandati a morire in Afghanistan durante la decennale occupazione sovietica hanno potuto al cospetto del mondo far echeggiare il loro pianto sulle “bare di zinco” sigillate che contenevano ciò che era rimasto di figli e compagni; se ci sono giunti gli estremi racconti su chi non ha retto alla fine della grande illusione del comunismo sovietico e ha preferito togliersi la vita; se infine le donne combattenti e infermiere dell’Armata Rossa nella seconda guerra mondiale hanno potuto farci il racconto della loro guerra “al femminile”, anche più dura di quella (prima di allora l’unica raccontata) degli uomini, ebbene, lo dobbiamo all’instancabile lavoro, durato un trentennio, di Aleksievič.

Però lei, al di là della mera cronaca e della “fattografia”, ha scavato, come in miniera, nel fluire di ogni racconto della sua gente alla ricerca di quelle “pagliuzze d’oro”, quella circostanza, quel passaggio, quell’immagine – cariche di verità e coinvolgente emozione – in grado di proiettare subito il vissuto e l’anima del narratore nella grande letteratura, quella che cerca il cuore di ogni persona, ovunque. Aleksievič è convinta che questa potenzialità e questo dono alberghino naturalmente in ognuno di noi.

E ha saputo rendercene consapevoli e partecipi con la sua arte.

Annamaria Samuelli, Responsabile Commissione educazione e cofondatrice di Gariwo

12 ottobre 2015

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