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Metà della vita: storia di un bambino ebreo a Roma nel 1938

storia di un bambino ebreo a Roma nel 1938

Giardino dei Giusti del Liceo Cavour di Roma

Giardino dei Giusti del Liceo Cavour di Roma

La Professoressa Simona Emiliani del Liceo Cavour di Roma ci parla sulla piattaforma di GariwoNetwork, dal punto di vista dei propri alunni, dell'incontro con Guido Tagliacozzo - che ha raccontato nella loro classe quando nel '38 da bambino ebreo in Italia visse l'esperienza dell'emarginazione, sperimentando però il buon cuore di amici e persone che lo aiutarono e permisero a lui e alla sua famiglia di sfuggire alla deportazione.

Un’aula di un liceo romano può diventare uno spazio d’incontro in cui generazioni lontane possono condividere emozioni, pensieri. Un luogo come la scuola, a volte vissuto da noi giovani con insofferenza ed ansia, si trasforma in una macchina del tempo, che ci trasporta, al suono di una voce, in una Roma di tanti anni fa. La nostra città, è oggi libera, aperta, attraversata da uomini, donne, ragazzi che portano con sé culture diverse, che si esprimono con lingue diverse e che hanno diversi sguardi sul mondo. E noi ragazzi del duemila, che ci sentiamo liberi ed amiamo la nostra libertà, ci troviamo qui, nella nostra classe, dove trascorriamo tante ore della nostra giornata, di fronte ad uomo che ha negli occhi i segni della storia. E con lui ci emozioniamo…

Partiamo dal 1938. Io avevo 8 anni, avevo fatto la terza elementare in una scuola statale e avrei dovuto fare la quarta. Come tutti gli anni, con mia madre e mio fratello Roberto, maggiore di me di due anni, eravamo in villeggiatura presso i nonni materni ad Ancona. Mio padre di solito ci raggiungeva per una quindicina di giorni in agosto e poi tornava a Roma per il suo lavoro. Quell’anno avevo l’impressione che le vacanze durassero più del solito. Mi ricordo che mi interrogai al riguardo ma senza darci grande importanza. Il tempo però passava e non si tornava a Roma per l’anno scolastico. Finalmente, più tardi del solito si tornò, ma non per andare a scuola.

Così esordisce nonno Guido, che in verità è nonno solo di uno di noi, Simone, ma con piacere di cuore, lo abbiamo tutti adottato. Sui libri, attraverso immagini e filmati, visitando musei, abbiamo conosciuto le testimonianze terribili dei sopravvissuti ai campi di sterminio, ma oggi ci sentiamo raccontare una storia di quotidianità, dal punto di vista di un bambino che, all’improvviso, si vede negata incomprensibilmente la sua realtà.

In silenzio – e non è facile solitamente farci stare in silenzio! – ascoltiamo…

Ho questo ricordo: mio fratello ed io chiusi in una stanza coi nostri genitori che con grande imbarazzo cercano di spiegarci il perché ci fosse interdetto il ritorno a scuola. Con grande imbarazzo, perché come si fa a spiegare a dei bambini l’insorgere di leggi assurde che riportano il tempo indietro di un secolo? Come si fa a dire a dei bambini che per secoli e secoli gli ebrei sono stati perseguitati e che ora si ricomincia da capo?

Difficile spiegarlo e difficile per me bambino di 8 anni comprendere perchè non potessi più andare nella classe che avevo seguito fino a quel momento e non rivedere i miei compagni di scuola.

Noi, che esultiamo quando per uno sciopero o un’improvvisa nevicata il portone della nostra scuola rimane chiuso, percepiamo da quella voce narrante, emozionata seppur decisa, lo sconcerto provato nel non poter più entrare nella sua aula. Quello che per noi è un diritto acquisito, a qualcuno è stato vietato. 

Le disposizioni contro gli ebrei ovviamente non si limitavano alla scuola, ma colpivano numerosi settori del lavoro. Tutti coloro che erano dipendenti statali, o perché ufficiali o perché impiegati di stato, venivano estromessi dal lavoro; gli ebrei venivano cancellati dagli albi professionali senza più possibilità per avvocati, medici, ingegneri, di continuare a lavorare.

Il fratello di mio padre che aveva vinto da poco un concorso per l’insegnamento universitario, vide annullato il risultato ottenuto. Due fratelli della nonna paterna, uno ammiraglio ed uno generale, che avevano combattuto nella prima guerra mondiale, ricevendo decorazioni, erano stati radiati dall’esercito.

Mio padre non era dipendente statale, era un agente di commercio e il suo lavoro non venne toccato. Per questa ragione noi restammo in Italia. Nel frattempo ovviamente si era posto il problema di come continuare gli studi. Lo stesso governo si era reso che, non avendo privato gli ebrei della cittadinanza italiana, l’istruzione obbligatoria era comunque prevista fino alla quinta elementare. 

Furono create quindi delle sezioni in scuole di Roma riservate agli ebrei, pomeridiane perché non ci fosse nessun contatto con gli studenti cattolici, limitatamente alla scuola elementare; mentre per gli studi successivi fu la comunità di Roma a organizzarsi per creare delle scuole. Io ultimai i corsi elementari nella scuola ebraica, con nuovi compagni, per passare successivamente al ginnasio. Mio fratello ed io avevamo inoltre un giro di amici nella piazza sottostante la casa dove abitavamo, amici cattolici.

Da parte di questa cerchia di amici, non ci è mai venuta a mancare l’amicizia che ci era stata dimostrata fino a quel momento. Tutto andò avanti come se nulla fosse successo e non ricordo di aver mai ascoltato una parola denigratoria nei nostri confronti, neanche dai genitori di quei bambini.

Le cose andarono avanti così fino all’8 settembre del ’43, giorno in cui l’Italia chiese l’armistizio agli alleati. Durante il periodo precedente, ricordo visite continue nella nostra casa - come nelle case di tutti gli ebrei romani - di profughi tedeschi ebrei che chiedevano aiuti economici. I loro racconti erano terrificanti: sinagoghe incendiate, case svaligiate, polizia connivente; e ricordo i miei genitori guardarsi e dire “Ma sarà vero?” “È mai possibile?”.

Quanto è importante la solidarietà! Quanto è importante l’amicizia! Le discriminazioni, tendono ad annullare l’essenza stessa degli uomini, provocando uno spaesamento in coloro che improvvisamente vengono allontanati, non più riconosciuti, suscitando in loro domande: “Ma chi sono io? Non sono più il compagno di banco che fino a ieri condivideva con te penne e matite? Non sono più la vicina di casa con cui scambiavi due parole di ritorno dalla spesa? Non sono più il collega che faticava al tuo fianco? Non sono più…?”

Più del dolore fisico, più della fame e della sete, l’annichilimento.

Un amico che rimane tale, un bambino che continua a giocare con te, un mondo seppur piccolo che continua a riconoscere la tua esistenza, possono costituire quel piccolo filo che ti tiene legato alla vita e che ti impedisce di smarrire te stesso. 

Due giorni dopo l’8 settembre quando Roma fu occupata dalle truppe tedesche, questo interrogarsi da parte dei miei genitori divenne un tormento: nel dubbio meglio andarsene da Roma, e ce ne andammo. Ma come si fa a inventarsi il ruolo di fuggitivi e di persone che si debbono nascondere?

La voce di nonno Guido si incrina e i nostri occhi diventano lucidi…

Ricordo un viaggio che durò tutta la notte in treno da Roma ad Ancona, con il treno stipato, militari in fuga e la mattina l’arrivo ad Ancona parallelamente alla colonna tedesca che entrava in città. Un vicino di casa ci aveva dato l’indirizzo di una pensioncina a Magliano Sabino dicendoci di andare lì a suo nome. Ci andammo, e in quella piccola pensione una signora ci accolse tutti in una camera, cinque, perché da tre anni era nata anche una sorella. Qualcuno non si era tirato indietro di fronte ad un cognome inequivocabile e compromettente come Tagliacozzo.

Quando dopo una quindicina di giorni ci raggiunsero i nonni paterni fuggiti da Roma perché il comandante delle SS Kappler aveva chiesto agli ebrei romani la consegna di 50 chili d’oro, i miei genitori si resero conto che il nostro soggiorno li era precario, nonostante le dimostrazioni di simpatia espresse da persone incontrate e conosciute sul posto.

Stiamo capendo che gli eroi della storia non sono solo i personaggi che vengono celebrati ufficialmente, ma anche coloro che, con i pochi mezzi a disposizione, semplicemente e forse inconsapevolmente, offrono una mano ai perseguitati, ai bisognosi di aiuto, mettendo a volte a rischio la loro stessa incolumità.

Se in quei due mesi non è accaduto nulla, è grazie all’alto livello di educazione morale e civile degli abitanti di Magliano Sabino, perché nessuno si è lasciato incantare dalla aberrante propaganda fascista nei confronti degli ebrei. Questa è stata la nostra storia in quel periodo; storia che potrei definire banale in confronto a quel che tanti altri invece hanno subìto: arrestati, deportati e non più ritornati.

Questo racconto è un monito per capire che dobbiamo uscire dallo stato di indifferenza in cui ci troviamo e credere che esista una speranza nel mondo che siamo anche noi giovani. La rabbia per le ingiustizie, per i genocidi, per le persecuzioni genera in noi la voglia di raccogliere il testimone e essere eco di quanto ascoltato.

Rimaniamo in silenzio. Poi il desiderio di avvicinarci a lui, di abbracciarlo: abbiamo ancora di fronte a noi quel bambino di otto anni, a cui vorremmo esprimere la nostra solidarietà, la nostra vicinanza.

Gli alunni della 4F del Liceo Cavour di Roma hanno realizzato un video in cui Guido Tagliacozzo racconta la sua storia.

1 marzo 2018

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