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"Bongbong" Marcos Jr. e le Filippine, quando i figli dei dittatori diventano presidenti

di Lorenzo Lamperti (China Files), da Taipei

Soldi sottratti allo stato. Tanti soldi. Ma anche repressione, sparizioni e persino torture ed esecuzioni. Il menù delle accuse a Ferdinand Marcos è da sempre corposo. Eppure, da poche settimane le Filippine hanno scelto il figlio del loro celebre dittatore, Ferdinand Junior detto "Bongbong", come nuovo presidente. E lo hanno fatto in maniera convinta, con gli elettori che hanno votato in massa per l'erede della più celebre dinastia politica del paese. Le Filippine si descrivono con orgoglio come sede della più antica democrazia del Sud-Est asiatico. Ma la vittoria di Marcos Jr. riporta alla memoria un periodo cupo dal quale in pochi avrebbero creduto potesse riemergere vincitrice la stessa famiglia che ne era stata in larga parte responsabile. Durante la campagna elettorale molti di coloro che avevano vissuto i lunghi anni della legge marziale e della repressione dell'opposizione da parte di Marcos Sr. hanno fatto sentire la loro voce per provare a evitare la vittoria del protetto di mamma Imelda.

Salito al potere nel 1965, Marcos padre governò ben presto col pugno di ferro. La scusa era quella di dover combattere la ribellione comunista, che a suo parere si era legata in un patto di sangue con la destra radicale per rovesciarlo. Nel mirino anche l'opposizione musulmana, che lui stesso rinfocolò con il presunto massacro di Jabidah, quando vennero uccisi diversi musulmani di etnia moro che rappresentò la gestazione di gruppi di combattenti estremisti come il Fronte di liberazione nazionale moro e il Fronte di liberazione islamico moro. Ancora oggi sono operativi diversi gruppi armati islamisti nella regione di Mindanao, che il governo centrale non riesce a controllare.

Nel 1972, dopo una serie di attentati e attività giudicate sovversive, Marcos dichiarò la legge marziale. In circa 9 anni smantellò l'opposizione politica e concentrò il potere nelle sue mani con una serie di misure senza precedenti, a partire dalla confisca di numerose aziende e istituzioni. Alla loro guida mise tutti i suoi fedelissimi, molti dei quali furono poi accusati di riciclaggio di denaro e di corruzione. Così come lui stesso e la moglie, accusati di aver depredato dalle casse dello stato una cifra tra i 5 e 10 miliardi di dollari di denaro pubblico. Un'infinita serie di accuse di corruzione ed episodi mai chiariti ha il punto più critico nel 21 agosto 1983, con l'uccisione del leader dell'opposizione Benigno Aquino all'aeroporto di Manila. Marcos aveva promesso di garantirne la sicurezza al suo rientro dall'esilio. Ma all'uscita dell'aereo, Aquino venne colpito da un proiettile alla nuca. Il sospetto assassino fu a sua volta istantaneamente ucciso e il caso giudiziario si chiuse con l'accusa nei confronti di 25 miliardi e un civile, col mistero sul mandante (che in molti identificano proprio in Marcos) che resta vivo tuttora. Fu l'inizio della fine per Marcos, che il 25 febbraio 1986 fu costretto all'esilio dopo che anche i militari erano passati dalla parte dei manifestanti che stavano portando avanti una rivolta popolare sin dall'annuncio dei risultati delle elezioni del 17 gennaio 1986, considerate fraudolente dai suoi oppositori.

Nonostante tutto questo, gli elettori filippini hanno scelto il figlio del dittatore. Marcos Jr. non ha peraltro mai fatto nulla per allontanare le figure dei genitori da sé. Anzi Bongbong, soprannome datogli dal padre per l'abitudine di salirgli sulle spalle (in tagalog il termine identifica un contenitore di bambù che si porta sulla schiena), si è sempre impegnato nel tentativo di riabilitare la reputazione dei genitori. Ha descritto il padre come “genio politico” e la madre “politica suprema”. Nel 2011, da senatore, ha criticato il ruolo degli Stati Uniti nell'esilio della famiglia. “Non fu una fuga, ma un rapimento”, aveva detto in un'intervista di allora.

I parlamentari dell'Asean per i diritti umani (APHR) hanno espresso la preoccupazione che l'amministrazione filippina entrante possa non includere i diritti umani nella sua agenda, dato che Marcos Jnr ha "sistematicamente sbianchettato gli spaventosi precedenti in violazione dei diritti umani di suo padre". Secondo la stessa organizzazione, Marcos Jr. e le sue forze hanno usato i social media per condurre campagne di disinformazione su larga scala prima del voto, una strategia che avrebbe influenzato “enormemente” l'esito delle elezioni in un paese con oltre 92 milioni di utenti registrati di social media. "La vittoria del figlio di un dittatore e della figlia di un violatore dei diritti umani, che hanno entrambi difeso strenuamente l'eredità dei loro padri, non è di buon auspicio per il ripristino dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani nel Paese", ha dichiarato Charles Santiago, presidente dell'APHR e parlamentare malese. Delusi anche gli attivisti filippini e la comunità LGBT+, che la candidata sconfitta Leni Robredo aveva difeso da vicepresidente per tutta la presidenza di Rodrigo Duterte. Anche la chiesa cattolica stava con Robredo, ma non è bastato. Bongbong eredita un paese caratterizzato da profonde divisioni e ancora scosso dalla violenta campagna anti droga del presidente uscente Rodrigo Duterte, che lo ha definito “debole” e “bambino viziato” durante la campagna elettorale. Ma la vicepresidente sarà proprio la figlia di Duterte, la 43enne Sara, che ha scelto di correre in ticket con Marcos Jr. contro il parere del padre che l'avrebbe invece voluta leader al suo posto.

Secondo molti, Marcos Jr. userà il suo potere non tanto per reinstaurare un governo autoritario, quanto semmai per fermare le indagini sul patrimonio della sua famiglia, dato che presiederà la commissione che ancora conduce l'inchiesta. Investitori e mondo finanziario temono Marcos, non tanto per la paura di nuove confische come accaduto col padre, quanto per un programma economico vago e confuso. Sotto osservazione anche la sua postura in politica estera. Fino qualche settimana fa, Marcos Jr. non poteva mettere piede negli Stati Uniti a causa di una maxi multa mai pagata da 353,6 milioni di dollari comminata a lui e alla madre dopo una class action contro le violazioni dei diritti umani del regime guidato dal padre. Ora però, la vice segretaria di Stato americana Wendy Sherman ha spiegato che potrà farlo grazie all'immunità presidenziale. Le Filippine sono al centro di una contesa geopolitica tra Stati Uniti e Cina. Tradizionalmente Manila è il principale alleato di Washington nel Sud-Est asiatico, ma Duterte ha avviato una fase di distensione con Pechino, nonostante l'arbitrato del 2016 della Corte dell'Aja che aveva dato ragione a Manila sulle dispute nel mar Cinese meridionale. Una fase poi sulla quale c'è stata una retromarcia da quando alla Casa Bianca è entrato Joe Biden, con il rinnovo del Visiting Forces Agreement (che Duterte aveva più volte minacciato di stracciare). Ad aprile Manila e Washington hanno condotto l’esercitazione militare più massiccia degli ultimi sette anni. Il Balikatan, in tagalog “spalla a spalla”, ha mobilitato circa 9 mila membri tra personale militare filippino e americano nell’area di Luzon. Allo stesso tempo, tra le sue prime dichiarazioni da presidente eletto Bongbong ha detto che espanderà le relazioni con la Cina portandole a una “marcia superiore”.

Il 30 giugno Marcos Jr. varcherà nuovamente la soglia del Palazzo di Malacañan, 36 anni dopo.

Lorenzo Lamperti, direttore editoriale China Files

13 giugno 2022

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