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Taiwan: le elezioni presidenziali di gennaio saranno cruciali per il futuro

di Lorenzo Lamperti

Mancano solo otto settimane alle elezioni forse più importanti del 2024, insieme a quelle degli Stati Uniti. Entro il 24 novembre vanno depositate le candidature per le elezioni presidenziali della Repubblica di Cina, Taiwan, in programma il prossimo 13 gennaio. Si tratta di un voto cruciale, non solo per gli equilibri interni di Taipei e la stabilità dello Stretto di Taiwan, ma anche per i rapporti con Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese, nonché potenzialmente per le relazioni tra le due grandi potenze.

Il voto è stato presentato come una scelta tra "guerra e pace" dal principale partito d'opposizione, il Kuomintang (KMT). Secondo il Partito nazionalista cinese che fu di Chiang Kai-shek, una vittoria dell'attuale maggioranza del Partito progressista democratico (DPP) rischierebbe di provocare uno scontro militare con Pechino. Il DPP presenta invece il voto come una scelta tra "democrazia e autoritarismo", alludendo al fatto che un ritorno al potere del KMT possa portare ad accordi politici con il Partito comunista cinese (PCC) e potenzialmente a un'unificazione con la Repubblica Popolare. Si tratta di due esagerazioni all'interno di cornici retoriche opposte. D'altronde, KMT e DPP dominano indisturbati la scena politica taiwanese da tre decenni. La divisione non è solo politica, ma è stata spesso anche identitaria, tra i benshengren (taiwanesi di etnia han la cui famiglia è originaria dell'isola sin da prima della colonizzazione giapponese) e waishengren (cinesi continentali arrivati a Taiwan con il KMT dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale).

I due partiti hanno posizioni diverse sui rapporti intrastretto, anche se entrambi hanno come stella polare il mantenimento dello status quo, quantomeno per come viene interpretato a Taiwan, cioè un'indipendenza de facto entro la cornice della Repubblica di Cina e una non indipendenza formale come Repubblica di Taiwan. Sostanzialmente una non soluzione, che ha consentito sin qui di mantenere in equilibrio l'ecosistema taiwanese tra tutela difensiva statunitense e profonde relazioni commerciali con la Repubblica Popolare. Né DPP né KMT accettano il modello "un paese, due sistemi", che il PCC vorrebbe applicare anche a Taiwan dopo quella che chiama "riunificazione", così come fatto a Hong Kong.

Eppure, c'è una differenza rilevante, che sfocia nella sfera identitaria. Il KMT continua a riconoscere il fantomatico "consenso del 1992", un accordo tra funzionari delle due sponde dello Stretto che riconosce l'esistenza di una "unica Cina". Un passaggio raccontato però diversamente dalle due parti. Per il KMT, si tratta di una "unica Cina con diverse interpretazioni". Cioè si è stabilito che Taiwan fa parte della Cina ma si è anche evitato di stabilire quale fosse l'autorità legittima tra Repubblica Popolare e Repubblica di Cina. Una sorta di accordo di essere in disaccordo. Per il PCC invece, riconoscere che esiste una "unica Cina" significa di fatto dire che Taiwan dovrà tornare a far parte della Repubblica Popolare, visto che è quella riconosciuta come legittima da quasi tutti i Paesi del mondo. Il DPP invece non riconosce il principio del "consenso del 1992" e si dice pronto al dialogo con Pechino ma senza precondizioni, dunque col riconoscimento da parte del PCC dell'esistenza di due "entità non interdipendenti". Una posizione smussata nel corso del tempo, visto che inizialmente il partito era più marcatamente indipendentista nel vero senso del termine, cioè perseguiva quantomeno idealmente una dichiarazione di indipendenza formale che ora non sembra più nei programmi. La posizione della presidente uscente Tsai Ing-wen si può definire sostanzialmente centrista, rafforzata anche dalla sua pregressa esperienza a capo del Consiglio degli Affari continentali, l'organo amministrativo taiwanese che si occupa dei rapporti con Pechino. Ma da quando è al potere, nel 2016, il dialogo politico intrastretto si è azzerato vista l'inconciliabilità tra le rispettive condizioni.

Alle elezioni di gennaio il DPP si presenta con la candidatura di Lai Ching-te, l'attuale vicepresidente. Pechino lo percepisce come una figura più "radicale" di Tsai, viste le sue passate dichiarazioni esplicitamente a favore di una dichiarazione di indipendenza. Lai ha in realtà profondamente rivisto la propria retorica, ponendosi in linea con Tsai, ex rivale interna al DPP, tanto che nel 2019 il partito arrivò sull'orlo della scissione. Nel 2020, la presidente uscente ha vinto le elezioni anche e forse soprattutto grazie alla sua posizione "calma" sui rapporti intrastretto. Una postura chiara, ma allo stesso tempo prevedibile. Pechino ritiene invece, o racconta di ritenere, che Lai possa essere un agente di maggiore imprevedibilità. Come esempio viene citata anche una sua dichiarazione dello scorso luglio, quando disse che un giorno l'obiettivo sarà quello di entrare alla Casa Bianca, cosa che sarebbe possibile solo in presenza di un riconoscimento diplomatico ufficiale di Taipei da parte di Washington e dunque l'uscita dalla tradizionale "ambiguità strategica". Lai invece garantisce di poter evitare tensioni e conflitti, allo stesso tempo però rafforzando i legami di sicurezza con gli Usa. La sua candidata alla vicepresidenza è Hsiao Bi-khim, che per presentarsi al voto si è dimessa dal ruolo di rappresentante di Taipei negli Stati Uniti. Una scelta rilevante anche a livello simbolico, visto che Hsiao (al contrario di Lai e Tsai) è stata inserita nella cosiddetta "lista nera" di quelli che Pechino definisce "secessionisti".

Il KMT ha invece scelto Hou Yu-ih, ex poliziotto e attuale sindaco di Nuova Taipei. Ma la grande novità di queste elezioni è la presenza di un terzo incomodo serio, vale a dire Ko Wen-je. Ex chirurgo ed ex sindaco di Taipei, Ko ha fondato pochi anni fa il Taiwan People's Party (TPP) e si propone come una "terza via" per superare la storica polarizzazione politico-identitaria tra KMT e DPP. Ko critica entrambi i partiti per la loro posizione "ideologica" a cui oppone un approccio "pragmatico". Definendo il DPP troppo ostile e il KMT troppo amichevole con Pechino, Ko non si allontana comunque troppo dalle posizioni dell'attuale opposizione sui rapporti intrastretto, tanto da proporre con forza un riequilibrio della postura di Taipei e il riavvio del dialogo con il PCC. A differenza del KMT, non ha però riconosciuto esplicitamente il "consenso del 1992", cavandosela sin qui dicendo che prima di esprimersi sul punto dovrebbe confrontarsi con Xi Jinping per capire la sua interpretazione di quell'accordo.

Nei sondaggi, Ko e Hou sono sostanzialmente appaiati ma nettamente alle spalle di Lai. Se l'opposizione si presentasse divisa al voto di gennaio, il risultato appare quasi scontato a favore del DPP. Anche per questo, da diverse settimane KMT e TPP stanno cercando l'accordo per una candidatura unitaria, che potrebbe invece ribaltare i pronostici. Accordo che era stato persino firmato mercoledì 15 novembre negli uffici della Fondazione di Ma Ying-jeou, presidente tra il 2008 e il 2016 e protagonista di una lunga serie di accordi commerciali con il PCC. Non solo, Ma è stato il primo e unico leader di Taipei a incontrare un leader di Pechino (Xi, nel 2015 a Singapore) e l'unico ex presidente a recarsi in Cina continentale dal 1949 a oggi, nello storico viaggio dello scorso aprile avvenuto peraltro in concomitanza col doppio transito di Tsai negli Stati Uniti all'andata e al ritorno da una visita in America Latina.

Dopo meno di tre giorni, Ko ha però fatto un passo indietro dopo essersi accorto che i termini favorivano Hou nella lettura dei sondaggi d'opinione commissionati per individuare chi dei due avrebbe dovuto essere il candidato presidente. I due partiti non hanno ancora escluso un nuovo accordo, che appare però complicato. Nell'equazione potrebbe peraltro entrare anche Gou Taiming, il quarto incomodo. Gou è il patron della Foxconn, colosso dell'elettronica e principale fornitore di iPhone per Apple. Ha enormi interessi in Cina, dove lo stabilimento più grande è conosciuto come "iPhone City", per sottolinearne dimensioni e rilevanza. Ma allo stesso tempo ha profondi legami con gli Stati Uniti. Non solo commerciali con Cupertino, ma anche a livello politico. In particolare con Donald Trump, che nel 2019 lo ricevette alla Casa Bianca definendolo "vecchio amico". Gou ha provato a ottenere la candidatura dal KMT, che gli ha però preferito Hou. Nonostante le garanzie di allineamento, ha infine deciso di presentarsi da indipendente, riuscendo a raccogliere le firme necessarie a depositare la candidatura. Ma qualche settimana fa è arrivata la notizia dell'avvio di indagini fiscali e di altra natura delle autorità cinesi sulla Foxconn. Un brutto colpo alla sua campagna elettorale, fondata sulla presunta capacità di mantenere rapporti saldi sia con Pechino sia con Washington. In molti hanno visto una pressione da parte cinese per compattare il campo dell'opposizione dialogante, anche se va considerato che potrebbe esserci la volontà di provare a fermare la parziale delocalizzazione delle linee produttive del colosso taiwanese.

Il possibile allineamento di Gou a Ko potrebbe cambiare parzialmente lo scenario, anche se i numeri dicono per ora che senza un accordo tra TPP e KMT l'opposizione non dovrebbe riuscire a recuperare il terreno necessario per battere il DPP, nonostante molti taiwanesi siano disillusi dall'attuale partito di maggioranza. Va infatti ricordato che la maggior parte dell'elettorato non va alle urne pensando a Pechino, ma ad altri temi ben più concreti. A partire dall'economia. Il DPP non ha mantenuto alcune delle sue promesse, in particolare sul salario minimo e sulla questione abitativa. Molti giovani taiwanesi faticano a garantirsi un'indipendenza e a costruire una famiglia. Dopo 8 anni al potere c'è anche una naturale "stanchezza" per il DPP. Non a caso Ko pare molto apprezzato da una parte dell'elettorato più giovane, a caccia di cambiamento e novità su una scena politica piuttosto stantia e nella quale i due partiti tradizionali perdono consenso. Tra i temi più dibattuti c'è anche l'energia. L'opposizione chiede un maggiore ricorso all'energia nucleare, sottolineando i rischi dell'attuale dipendenza pressoché totale da fonti esterne. Le esercitazioni militari cinesi dell'agosto 2022 in risposta alla visita di Nancy Pelosi hanno evidenziato un potenziale rischio: con un possibile blocco navale prolungato, le riserve energetiche di Taiwan potrebbero esaurirsi nel giro di poche settimane. Il DPP risponde coi risultati ostili al nucleare di un referendum realizzato dopo l'incidente di Fukushima del 2011, sottolineando anche le specificità geografiche e geologiche di Taiwan, esposta a frequenti fenomeni di natura sismica.

A prescindere dalle presidenziali, il DPP si aspetta di perdere la maggioranza allo yuan legislativo, il parlamento taiwanese. Un'eventuale coalizione tra KMT e TPP consegnerebbe la maggioranza parlamentare all'opposizione, a quel punto in grado di ostacolare diverse scelte dell'ipotetica amministrazione Lai, con possibili ripercussioni su una serie dossier a partire da quello sulla difesa. Il capolista del KMT alle legislative è peraltro il battagliero Han Kuo-yu, ribattezzato dallo stesso partito come il suo "super guerriero". Nel 2018, il populista Han venne eletto a sorpresa sindaco di Kaohsiung, una storica roccaforte del DPP. Venne poi rimosso dopo aver perso le presidenziali del 2020 contro Tsai, ma è rimasto molto popolare all'interno dell'elettorato del KMT, in particolare quello più radicale. Han sembra mirare alla nomina di presidente dello yuan legislativo, ruolo in cui amplificherebbe la contrapposizione col DPP.

Una cosa è comunque certa: il voto del 13 gennaio sarà decisivo per Taiwan, ma anche per provare a scorgere il futuro dei rapporti intrastretto e di riflesso il futuro della relazione definita dallo stesso Xi "la più importante al mondo", quella tra Cina e Stati Uniti.

Lorenzo Lamperti, direttore editoriale China Files

20 novembre 2023

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