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Il coraggio dei calciatori iraniani: contro il regime, a fianco delle donne in piazza

di Francesco Caremani

Sardar Azmoun, stella dell’Iran, si è schierato contro la repressione del regime degli ayatollah e a fianco delle donne iraniane e dei loro diritti, rischiando di essere escluso dalla Nazionale e quindi dal Mondiale in Qatar

Le proteste che stanno attraversando l’Iran – alcune fonti parlano di rivolte in 80 città, con oltre 1.200 arresti e una dozzina di morti – dopo la morte di Mahsa Amini, curda di ventidue anni, per mano della polizia religiosa di Teheran – la sua colpa sarebbe stata quella di non indossare correttamente il velo –, hanno valicato i confini nazionali e quelli digitali. E se il regime degli ayatollah è sempre riuscito, in un modo o nell’altro, a reprime le contestazioni interne nel disinteresse generale, soprattutto occidentale, questa volta deve fare i conti con una presa di posizione mai vista in precedenza degli sportivi più in vista del Paese: i calciatori.

In particolare alla vigilia del Mondiale qatariota che vedrà la Nazionale iraniana impegnata nel gruppo B con Galles, Inghilterra e Stati Uniti, una vetrina irrinunciabile per i giocatori da una parte e il regime dall’altra, una vetrina alla quale, vista la vicinanza tra le due nazioni, faranno da cornice migliaia di tifosi, di fronte ai media di tutto il pianeta. Ed è forse questa la cosa che preoccupa maggiormente gli ayatollah in questo momento, considerando che nel mondo sono tante le proteste e i manifestanti che simpatizzano con le istanze dei rivoltosi e, in particolare, delle rivoltose, soprattutto iraniani e iraniane che vivono all’estero, gli stessi e le stesse che hanno cercato di avvicinare i calciatori della Nazionale impegnati nell’amichevole di Vienna contro Uruguay e Senegal.

A prendere posizione sui social sono stati, per adesso, Sardar Azmoun, attaccante del Bayer Leverkusen e stella dell’Iran, battezzato il “Messi iraniano” – quasi cinque milioni di follower su Instagram –, e Ali Karimi –12 milioni di follower su Instagram e 450mila su Twitter –, ribattezzato a sua volta il “Maradona asiatico”, ex giocatore di Bayern Monaco e Schalke 04, oltre che naturalmente della Nazionale, con la quale ha collezionato 127 presenze e 38 reti.

Non conoscendo il persiano riportiamo le traduzioni di alcune delle frasi di Sardar e Ali citando le fonti: «Non abbiate paura delle donne forti. Forse verrà il giorno in cui saranno il vostro unico esercito», (Ali Karimi, intellinews.com); «A causa del regolamento della Nazionale, non ci è permesso di dire nulla fino alla conclusione del nostro attuale ritiro, ma non sono più in grado di tollerare il silenzio. La punizione definitiva per me è essere espulso dalla Nazionale, che è un piccolo prezzo da pagare per una sola ciocca di capelli di una donna iraniana. Non sarà mai cancellato dalla nostra coscienza. Non ho paura di essere estromesso. Vergognatevi per aver ucciso le persone così facilmente e lunga vita alle donne iraniane. Se questi sono musulmani, Allah mi ha fatto un non-musulmano», (Sardar Azmoun, dw.com), post pubblicato in una delle stories di Instagram che secondo alcuni sarebbe stato poi cancellato. Anche Ali Daei, recordman di gol con la Nazionale iraniana (109) ha scritto un messaggio rivolto al regime che governa il Paese dal 1979: «Invece di repressione, violenza e arresti del popolo iraniano, risolvi i suoi problemi», (dw.com).

Il regime degli ayatollah non ha fatto attendere la sua risposta, da una parte oscurando Internet e i social media in patria, dall’altra scatenando controproteste nel Paese e gli hater sui social, hater che accusano i calciatori che si sono esposti di essere dei traditori dell’Iran – Karimi, che vive a Dubai, è stato addirittura accusato di avere fomentato le rivolte sediziose che stanno mettendo in difficoltà la nazione –, di essersi venduti per dei permessi di soggiorno stranieri, di essere irriconoscenti e chiedono – sotto dettatura – di confiscargli tutte le proprietà che hanno ancora in Iran. Niente di nuovo sotto il sole di un Paese che erroneamente viene definito arabo, semmai persiano e solo in parte. In Iran, infatti, la popolazione è per il 55 per cento persiana, poi ci sono gli azeri – lo stesso Ali Khamenei, la Guida Suprema, lo è –, curdi (come l’ex sindaco di Teheran, Qalibaf), luri, baluchi, arabi e turkmeni come Sardar Azmoun.

Le critiche al regime degli ayatollah, però, hanno una storia più lunga. Alcuni anni fa è stato il capitano dell’Esteghlal, il difensore Voria Ghafouri (nella foto), a prendere posizione contro il governo e contro le sue politiche, posizione che lo ha portato fuori rosa: secondo i suoi fan per questo motivo, secondo i detrattori perché era vecchio e il resto una scusa per non ammetterlo. Ghafouri, noto per sostenere i diritti delle donne, ha spesso indossato una maglia in onore di una tifosa che si era data fuoco perché le era stato negato l’ingresso allo stadio, sui suoi profili social aveva più volte criticato le politiche economiche dell’Iran e lo sminuire il peso delle sanzioni che ricadono sulla popolazione: «È diritto del popolo iraniano vivere una vita felice», aveva dichiarato in un’intervista post partita rincarando la dose quando ha detto che i governanti si sarebbero dovuti vergognare per le condizioni in cui versano i cittadini. Tanto che Ali Khamenei si è sentito in dovere di replicare durante un discorso pubblico, senza nominarlo: «Alcune persone, che beneficiano della pace e della sicurezza del Paese, godendo del loro lavoro e dei loro sport preferiti, mordono la mano che le nutre». Proprio questa estate Voria Ghafouri è passato dall’Esteghlal al Foolad F.C.

Adesso le autorità iraniane dovranno decidere se escludere Sardar Azmoun dalla Nazionale e quindi dal Mondiale in Qatar, cosa che metterebbe seriamente in difficoltà il Ct Queiroz, il quale sull’attaccante ha puntato quasi tutte le sue fiches, e la federcalcio iraniana, che rischierebbe la squalifica in caso di intervento della politica nelle sue faccende interne, soprattutto ora che la Fifa cerca di evitare di andare allo scontro con quei calciatori che esprimono valori e diritti con chiari riferimenti politici. E proprio la Fifa ha un passato di comportamenti equivoci con il regime degli ayatollah, soprattutto nel riconoscimento dei diritti delle donne e della parità di genere. Quando, infatti, alcuni decenni fa la Repubblica islamica ha deciso di escluderle dagli stadi il governo del calcio mondiale si è limitato a qualche lettera di rimprovero. Inoltre, ha girato la testa dall’altra parte di fronte al fatto che gran parte dei club in Iran sono di proprietà di enti statali, dove regna la corruzione, dimenticando che Mehdi Taj, presidente della FFIRI, Federazione calcio dell’Iran, è a capo di questo sistema, con forti legami con i media e i servizi di sicurezza iraniani; tornato in sella proprio in agosto, guarda caso alla vigilia del Mondiale, la vetrina più importante per il calcio iraniano e il regime degli ayatollah.

Tutto questo ci porta a una considerazione riguardo alla neutralità dello sport: non esiste, non è mai esistita, anzi è esistita solamente come fragile maschera per poter disputare tornei che altrimenti avrebbero dovuti essere cancellati. L’unica nazione che ha pagato, in parte, l’esclusione dallo sport, è stato il Sud Africa dell’apartheid. Dal Cile di Pinochet all’Argentina di Videla, invece, si sono disputate una finale di Coppa Davis e un Mondiale di calcio senza colpo ferire – anche se ci sono ricostruzioni interessanti e intelligenti sul perché farlo, come la possibilità che la stampa internazionale potesse documentare quello che stava accadendo in quei Paesi oltre lo sport –, nel benaltrismo delle federazioni sportive internazionali, le prime che dovrebbero prendere dei provvedimenti, senza far ricadere scelte e responsabilità sulle singole associate e, addirittura, sugli atleti.

Il Mondiale del Qatar è nato sotto i peggiori auspici, con lo scandalo dei lavoratori senza diritti morti a migliaia nei cantieri delle infrastrutture che ospiteranno la manifestazione iridata da qui a meno di due mesi. Sono molti i giovani che chiedono di boicottarlo, altri non lo guarderanno e forse è venuto il momento che il fenomeno dello sportwashing venga messo definitivamente in soffitta. Per essere concreti non è solamente una questione etica, per i signori della Fifa, e di tutti i governi sportivi, potrebbe diventare una questione economica. I giovani vogliono più diritti, vogliono vederli affermati e schifano tutto ciò che non li rappresenta. E lì dove non arriva la lungimiranza dei governi potrebbe arrivare il maglio del capitalismo.

Francesco Caremani, giornalista

28 settembre 2022

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