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Meron Rapoport da Tel Aviv: "Netanyahu è il primo responsabile di questo fallimento"

di Riccardo Michelucci

L’angoscia che in queste ore stanno provando gli abitanti di Tel Aviv si percepisce già nella voce di Meron Rapoport. “Per la prima volta nella mia vita ho davvero paura, per me e per i miei cari. La gente è scossa, in città si respira un clima da fine del mondo”, ci dice quando lo raggiungiamo al telefono. Ci racconta di una calma quasi surreale, con le strade deserte, le scuole chiuse, molti negozi e caffè con le serrande abbassate. “Il Paese è in uno stato di choc, sta vivendo un trauma collettivo nazionale. Nessuno credeva possibile una cosa del genere, circolano elenchi di morti che fanno davvero impressione, e con il trascorrere delle ore aumentano i timori per il futuro”. Giornalista israeliano di grande esperienza, adesso impegnato per il sito indipendente Local Call e per la rivista online +972 Magazine, Rapoport aveva diciassette anni nel 1973, quando scoppiò la guerra del Kippur, e ricorda bene i giorni in cui l’Egitto lanciò un attacco a sorpresa contro Israele.

Quella guerra ha segnato la storia e la coscienza nazionale del suo Paese negli ultimi cinquant’anni. Ma secondo lei quello che sta accadendo adesso è diverso e avrà conseguenze persino più gravi, perché?

Il trauma del 1973 è ancora molto vivo e il paragone con il Kippur è immediato perché questo attacco è arrivato proprio il giorno dopo l’anniversario. Stavolta però Israele non si trova a dover affrontare un esercito regolare com’era all’epoca quello egiziano. Deve fronteggiare gruppi di uomini disposti a tutto, armati soltanto di kalashnikov e lanciarazzi, che combattono una guerra di tipo diverso. Il Paese è sotto choc perché il fallimento militare e di intelligence è stato enorme e Israele impiegherà molto tempo per riprendersi, in termini di fiducia in sé stesso. Inoltre Benjamin Netanyahu non è Golda Meir, una leader che nel 1973 guidò la nazione fuori da quella crisi con grande autorevolezza.

Come spiega una sconfitta così colossale per i servizi segreti israeliani che pure godevano di una fama di grandissima efficienza?

Se si pensa che l’organismo di intelligence dell’esercito noto come Unità 8200 sorveglia i dettagli più intimi della vita dei palestinesi e che Israele controlla tutte le reti telefoniche fisse e mobili, è davvero incredibile che non si siano resi conto che stavano organizzando un assalto coordinato di tale portata. 

C’è stata innanzitutto una grande arroganza da parte dei servizi e dell’intelligence militare e si sono illusi che il muro potesse proteggere Israele da attacchi terroristici. In anni recenti le forze armate avevano persino costruito una barriera di cemento sotterranea al confine con la Striscia di Gaza per impedire l’ingresso in Israele attraverso i tunnel transfrontalieri. È la conferma che i muri servono a ben poco. Inoltre, l’esercito israeliano era ormai concentrato quasi tutto in Cisgiordania. Per proteggere i coloni e gli insediamenti erano stati dispiegati ben trentatré battaglioni mentre lungo la frontiera con Gaza ce n’erano soltanto tre. Credo poi che il livello di addestramento dell’esercito non sia più paragonabile a quello di una volta, perché negli ultimi vent’anni i soldati sono stati chiamati a svolgere quasi esclusivamente compiti di polizia, ad arrestare bambini o lanciatori di pietre nei villaggi. Si è quindi trovato impreparato a fronteggiare miliziani armati in un conflitto irregolare.

Chi è il responsabile di questo fallimento?

Senza alcun dubbio il primo ministro Netanyahu, che ha dominato la politica israeliana per quasi quindici anni e ha distrutto lo Stato privandolo dei servizi più essenziali. Ormai lo pensa anche buona parte dell’elettorato di destra. In queste ore vediamo che persino i riservisti sono rimasti privi di attrezzature e di rifornimenti, e la gente che è stata attaccata nelle proprie case si è sentita abbandonata. Il governo di Netanyahu è dominato da estremisti religiosi ossessionati dall’insediamento ebraico in Cisgiordania. Ma tutta questa attenzione agli insediamenti illegali sarà la sua rovina.

Crede che Netanyahu accetterà di formare un governo di unità nazionale?

Al momento non pare disposto a farlo perché ha paura di perdere il sostegno di Smotrich e di Ben Gvir, i due “falchi” dell’estrema destra che ovviamente sarebbero emarginati in un esecutivo con Lapid e Gantz. Netanyahu teme che quando sarà passata l’emergenza quei due estremisti non lo sosterebbero più. Ma dubito che riuscirà a evitare a lungo un governo di emergenza nazionale. Peraltro appare anche in condizioni di salute assai precarie. Da quando è tornato al governo non ha mai rilasciato un’intervista di persona, ma si è limitato a registrarle negli studi televisivi dei canali internazionali.

Adesso ci sarà l’occupazione militare di Gaza?

La distruzione di Hamas e la cancellazione di Gaza sono soltanto slogan. Dal punto di vista militare un attacco aereo sarebbe insensato perché non fermerebbe Hamas e metterebbe a rischio le vite degli ostaggi israeliani. L’esercito dovrebbe piuttosto intervenire via terra e occupare tutta Gaza o almeno una parte significativa di essa. Ma adesso ha perso fiducia in sé stesso e l’opinione pubblica ha perso fiducia nell’esercito, e ciò influenzerà notevolmente qualsiasi decisione sull’entrata a Gaza.

Una conquista militare di Gaza via terra avrebbe un esito tutt’altro che certo, significherebbe la morte di decine di migliaia di abitanti e una grave crisi di rifugiati, con tantissime persone in fuga dalle loro case. Inoltre potrebbe innescare una guerra regionale su larga scala, con il possibile coinvolgimento di Hezbollah in Libano e perfino della Siria e della Giordania. Ci attendono giorni davvero terribili.

Quale potrebbe essere un’alternativa praticabile?

Avviare negoziati, come avvenne dopo la guerra del 1973. Allora molti israeliani si chiesero: perché abbiamo dovuto avere tutte quelle vittime? Perché abbiamo dovuto avere quella guerra e perché abbiamo dovuto avere tremila morti? Stavolta avremmo l’opportunità di pensarci prima, evitando nuove morti inutili.

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