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Polonia: gli appelli degli intellettuali e degli ebrei

contro la legge sulla Shoah

POLIN Museo della storia degli ebrei polacchi, Varsavia

POLIN Museo della storia degli ebrei polacchi, Varsavia

Dopo il Giorno della Memoria, febbraio si apre con la legge sull’Olocausto che dovrebbe tutelare lo Stato polacco dalle accuse di collaborazione nel genocidio perpetrato dai nazisti. Il Senato ha approvato un Disegno di Legge che non solo vieta l’uso dell’espressione “campi di sterminio polacchi” ma nega a qualsiasi livello il coinvolgimento e la responsabilità della Polonia nella Shoah. Ma cosa ne pensa chi maggiormente potrebbe essere toccato da questo provvedimento? 

Con una lettera aperta, gli ebrei polacchi e alcuni autorevoli intellettuali del Paese hanno preso posizione rispetto alla legge, sollevando in particolare questi quesiti: perché rischiare di distorcere la memoria storica? È giusto limitare la libertà di espressione per quanto sia doloroso per la Polonia essere associata ai crimini nazisti? Chi decide cosa sia legale dire e cosa no, chi sia punibile e chi no?


L'appello degli Ebrei polacchi:

Non c’è dubbio che la definizione “campi di morte polacchi” sia una menzognaI campi di sterminio furono creati dai nazisti sui territori della Polonia occupata per sterminare il popolo ebraico nel quadro della “Soluzione finale”. Per questo è una menzogna attribuire alla nazione polacca qualsiasi corresponsabilità per la loro istituzione. In quanto testimoni e discendenti degli Ebrei e delle Ebree sterminati durante l’Olocausto rifiutiamo questa definizione falsa.

Tuttavia, non possiamo accettare che si punisca con il carcere la libertà di parola.

Crediamo che coloro che usano questa formula non lo facciano perché intendono accusare i Polacchi per la creazione dei campi, ma che lo facciano in quanto indicazione geografica, cosa, anche questa, non vera, perché durante l’Olocausto la Polonia non esisteva. A nostro parere, però, un’indicazione geografica inesatta non dovrebbe essere punita con sanzioni economiche o, a maggior ragione, con il carcere, come, invece, prevede la legge.

Infine, introdurre nella legge le norme che sono state proposte potrebbe portare a sanzionare chi parli dei delatori polacchi e di quei Polacchi che hanno ucciso i propri vicini di casa ebrei. A nostro giudizio si tratta di norme che non solo limitano la libertà di parola, ma che soprattutto tendono a falsificare la storia. Per questo chiediamo ai parlamentari della Repubblica Polacca di votare contro.

Sappiamo bene quanto siano dolorose le menzogne sui crimini nazisti. Vogliamo tutelare il buon nome della Polonia e vogliamo cercare un linguaggio comune per parlare di quegli eventi tragici, per questo lanciamo un appello per aprire un dialogo con noi, Ebrei polacchi.


L'appello degli intellettuali: 

La legge sull’Istituto per la Memoria Nazionale approvata il 26 gennaio dal Parlamento prevede un sanzioni fino a tre anni di carcere per chiunque “pubblicamente e andando contro i fatti attribuisca alla Nazione Polacca o allo Stato Polacco una responsabilità o una corresponsabilità per i crimini nazisti commessi dal III Reich”.

Questa infausta dicitura ha avuto una grande eco in Polonia e nel mondo, suscitando numerose obiezioni di natura logica, morale e giuridica. Perché una discussione storica dovrebbe svolgersi in Procura e in Tribunale? Perché le vittime e i testimoni dell’Olocausto dovrebbero soppesare le parole per non incorrere nelle sanzioni degli organi inquirenti, e perché da questo momento potrebbe essere punibile la testimonianza di un Ebreo che si è salvato che “aveva paura dei Polacchi? Perché dobbiamo polemizzare sugli argomenti o i paragrafi? Sarebbe questo un divieto come quello sulla menzogna di Oswiecim? E perché ci dovrebbe essere uno sconto per alcune professioni, perché non saranno perseguiti per opinioni “antipolacche” solo gli scienziati e gli artisti? E i giornalisti? E gli insegnanti? Dove dovrebbe essere il confine tra una scienza e un’arte tollerate e una pubblicistica sanzionabile e chi dovrebbe decidere quali “fatti” non si possono contestare?

L’intenzione del legislatore era quella di difendere il buon nome dei Polacchi. Questo è comprensibile. Quando i Polacchi sentono parlare di “campi di sterminio polacchi” temono, spesso esagerando, che li si accusi di avere organizzato Auschwitz (Jan Karski scrisse “campi polacchi” intendendo “campi che si trovano in Polonia). Ma la legge si spinge oltre: suggerisce un’innocenza dei Polacchi, facendone l’unica nazione europea senza alcuna colpa.

Non è questa la strada per recuperare una dignità collettiva. E non tutto è perduto. Il legislatore può ancora ritirarsi, ed è questo il nostro sentito appello.

Firmatari, tra gli altri:

Anne Applebaum, giornalista e saggista

Timothy Garton Ash, giornalista

Anna Bikont, scrittrice

Konstanty Gebert, giornalista e attivista

Jan Tomasz Gross, storico

Agnieszka Holland, regista e sceneggiatrice

Krystyna Janda, attrice

Aleksander Kwasniewski, Presidente della Polonia dal ’95 al 2005

Paula Sawicka, attivista ex Presidente di Open Poland

Dariusz Stola, storico

Joanna Szczesna, giornalista reporter

Roza Thun, attivista e membro del Parlamento Europeo

Krystyna Zachwatowicz-Wajda, attrice regista 


Traduzione dal polacco a cura di Annalia Guglielmi

2 febbraio 2018

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