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Germania: a est il confine è la paura

di Simone Zoppellaro

Inauguriamo con questo articolo un appuntamento a scadenza mensile in cui indagheremo, dall’interno, la Germania fra passato e presente, con particolare attenzione, da un lato, ai Giusti per la Shoah e per la riconciliazione nel dopoguerra, dall’altro, al fenomeno della nuova destra tedesca.

Da Stoccarda – Tacito, quasi duemila anni or sono, nel suo De origine et situ Germanorum poneva una questione ancora attuale nel contesto della politica tedesca. Dovendo definire da un punto di vista geografico il suo soggetto, la Germania, lo storico latino traccia un quadro ben delimitato a nord dall’oceano, a sud dal Danubio e ad ovest dal Reno. A est, invece, materia più inafferrabile ma concreta, a segnare il confine, scrive, è la “reciproca paura” nei confronti dello straniero, nello specifico Sarmati e Daci. Questo metus che, insieme alla cronica incertezza di quel confine, ha prodotto, come ben sappiamo, guerre e stermini nel secolo scorso (e non solo), può essere ancora un’ottima chiave di analisi per l’attualità tedesca, dove la nuova destra continua a mietere consensi, con un rapporto di circa due a uno rispetto all’ovest, proprio in quell’est dove – da sempre, verrebbe da dire – a dominare è la paura.

Un metus che, tinto di odio, oggi è rivolto in primis nei confronti di rifugiati e musulmani, giunti negli ultimi anni in un territorio non avvezzo e invecchiato a causa della emigrazione ad ovest dei giovani, ma anche sempre più degli ebrei e degli stranieri in genere, investendo persino l’Europa. Quando il leader dell’AfD Alexander Gauland nel 2017, parlando al suo elettorato in larga parte tedesco-orientale, affermava “ci riprenderemo il nostro paese e il nostro popolo”, si inseriva volente o nolente in una continuum storico in cui – partendo dalle origini stesse della Germania, e passando per i Cavalieri Teutonici, la Prussia e due guerre mondiali – la questione chiave era appunto la xenofobia innestata nella componente territoriale: quel Blut und Boden, “sangue e suolo”, che era concetto cardine della propaganda nazista.

Ma passiamo alla nostra attualità. Per riassumere l’esito del voto del primo settembre: l’AfD sfonda, ma non affonda. Non affonda i due grandi partiti egemoni del dopoguerra tedesco, la CDU e l’SPD, che si confermano, nonostante la debacle storica, rispettivamente alla guida di Sassonia e Brandeburgo. Eppure, il capitale di 246.000 e 100.000 voti raccolti nei due Länder dell’est, pari al 27,5% e al 23,5%, permetterà all’AfD di assestarsi a prima forza di opposizione in entrambi i parlamenti. La questione vera, in prospettiva, è quando e se questo partito raggiungerà numeri capaci di portarlo, da solo o in coalizione (cosa al momento respinta dagli altri partiti), al governo di un Land. Uno sdoganamento che aprirebbe, seduta stante, prospettive inedite e inquietanti anche a livello nazionale.

Molti gli ostacoli a questo progetto, cui l’AfD mira orami apertamente: dalla demografia, tutta spostata in quell’ovest che è oggi il cuore dell’egemonia culturale ed economica del paese, in un rapporto difficilmente reversibile; alla mancanza di un leader carismatico, capace di tenere insieme l’ala più radicale del partito e quella più moderata e qualunquista; i giovani tedeschi, infine, dati alla mano sembrano guardare altrove, ignorando le sirene della nuova destra. Eppure la storia, ancora una volta, ci interroga: se gli Junker hanno saputo dominare e militarizzare un ovest spesso restio, anche per ragioni economiche; se Hitler, il cui bacino primario di consenso – come dimostrano gli studi di Jürgen W. Falter – era proprio ad est, ha saputo creare una ideologia capace di sfondare a livello nazionale; allora, ci rendiamo conto come da questo confronto, che definirei culturale prima ancora che politico, dipenderanno ancora una volta le sorti dell’intera Europa. Uno confronto, e uno scontro, dunque, carichi di interrogativi e di insidie.

E non mancano, già oggi, i segnali inquietanti. Anche qui a sud, persino nella verde Stoccarda, il clima politico dopo la crisi dei rifugiati del 2015 e l’affermazione dell’AfD è molto cambiato. Fra gli attivisti, i giornalisti, gli uomini di chiesa, i politici, e persino gli insegnanti che incontro quotidianamente e con cui collaboro, il numero di persone minacciate dall’estrema destra (è capitato anche a me) a causa del loro impegno culturale o politico, spesso per tematiche riguardanti l’integrazione, risulta sempre più alto. Non siamo più al sicuro da un pericolo che pare in apparenza lontano, circoscritto a quel confine della paura che ha più volte segnato, in negativo, la storia della Germania. Il dato positivo, invece, è che questo nuovo clima politico sta contribuendo a mobilitare le nuove generazioni di tedeschi dopo che, negli ultimi trent’anni, molti avevano voltato le spalle all’impegno e alla politica. Anche ad est.

Si è molto parlato e scritto, in parte a ragione, dell’eredità comunista e del vuoto politico ed economico della Wende come chiave interpretativa per l’affermazione geograficamente marcata dell’AfD. È una risposta non infondata, certo, ma solo parziale. Il problema, purtroppo, è più profondo. Da un lato, come ci insegna Tacito, si dovrà porre la questione in termini storici più ampi; dall’altro, e non andrà sottovalutato, da un punto di vista identitario, con risvolti culturali profondi e ineludibili.

In assenza, a tutt’oggi, di una personalità anche lontanamente in grado di raccogliere il suo testimone, il dopo Merkel sarà un salto nel buio. Il che non significa, necessariamente, un salto nel passato, ma un’incognita ricca di pericoli, dagli esiti più imprevedibili, dove anche il passato senza dubbio avrà il suo peso. Sarà, a prevalere, la Germania della riconciliazione e del boom economico che, a ovest, ha saputo rifondarsi dalle rovine materiali e spirituali del dopoguerra, facendo faticosamente della memoria un suo cardine e un suo vettore per il futuro, o un est ancora carico di retaggi ingombranti, dal comunismo della DDR al nazismo, e indietro ancora fino al militarismo prussiano, che ha a sua volta radici più profonde? Lascio a ingenui e complottisti dalla penna facile, in questi tempi convulsi e imprevedibili, trarre le loro conclusioni.

Certo è che la paura a est non è cosa nuova, bensì una costante storica che non andrà elusa nell’impegno di coloro che in Germania, anche ad est (e sono molti), operano per la pace e la memoria, nell’intento di contrastare questo rigurgito di violenza.

Simone Zoppellaro

Analisi di Simone Zoppellaro, giornalista

12 settembre 2019

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