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L'antisemitismo e il rapporto con gli altri razzismi: una riflessione richiesta dalla Storia

di Anna Foa

Che cos’è l’antisemitismo, come combatterlo, quale il suo rapporto con il razzismo e l’odio verso il diverso da sé? Queste le domande che hanno accompagnato la storia degli ebrei fin dal periodo dell’emancipazione, quando divenne urgente definire attraverso un nome quell’ostilità antiebraica che fino a quel momento era parsa quasi naturale. Queste le questioni rese più incalzanti dalla Shoah e dallo sterminio di tanti milioni di ebrei. Che cosa è stata la Shoah? Quale il suo nesso con gli altri genocidi del terribile Novecento?

Da parte ebraica, a queste domande è stato risposto, sostanzialmente in due modi. La prima, facendo della Shoah il punto estremo dell’antisemitismo, che sotto diverse forme ma sostanzialmente unico ed eterno avrebbe avuto come obiettivo gli ebrei fin dai tempi più antichi. In questa risposta, l’antisemitismo è tout court l’odio verso gli ebrei, lo specchio rovesciato in sostanza della loro elezione, una sorta di elezione in negativo. Nella sfumatura sionista di questa risposta, l’unico modo di sfuggire all’antisemitismo è l’esistenza dello Stato di Israele, con il connesso rifiuto della diaspora. Il mondo non ebraico sarà comunque sempre, sia pur in diversa misura, ostile agli ebrei. L’immagine della degradazione di Dreyfus nella Francia che per prima aveva emancipato gli ebrei simboleggia in questa interpretazione questo eterno antisemitismo. Gli ebrei sono soli in questa lotta per la sopravvivenza della propria identità e della propria vita, nessuno li aiuterà mai. L’antisemitismo è perenne e lo sterminio fisico degli ebrei, nella Shoah, ne ha rappresentato, senza soluzione di continuità, il punto estremo. Ovviamente, simili interpretazioni hanno gradi diversi di intensità, le abbiamo portate qui all’estremo per mostrarne la radice e il senso. Sappiamo che contengono anche elementi di verità, desunti dai diversi contesti. Ma la radice è unica, il tema è essenzialmente identitario. Tutte le violenze contro gli ebrei, a partire dall’antichità, sarebbero qui sovrapponibili. Non serve ricordare la Shoah quando ricordi Amalek o i massacri della prima Crociata, come nelle haggadot ortodosse di Pesach. Non c’è differenza. Non c’è storia.

L’altro approccio non si preoccupa in primo luogo di salvare e mantenere l’identità ebraica, quanto di evitare che l’odio si perpetui e rinnovi, preservando gli ebrei, e con loro il resto dell’umanità, cogliendo le modalità diverse che nella storia ha avuto l’ostilità nei confronti degli ebrei ma anche individuandone le radici, radici che non possono essere colte se non si affronta nella sua globalità il problema: perché gli ebrei? Quando e dove? Non sempre i ghetti si sono chiusi su di loro, non sempre le camere a gas li hanno sterminati. Non sempre la storia degli ebrei è stata “lacrimosa”. Ma è anche vero che fenomeni simili hanno riguardato altri, “diversi” dalle maggioranze sia dal punto di vista religioso che nei costumi, nella storia, nelle professioni. Pensiamo alla sorte degli “zingari”, i rom e i sinti assassinati come gli ebrei per quello che erano e non per quello che facevano. E i kulaki sotto Stalin? E i tutsi ad opera degli hutu? E gli armeni nel genocidio perpetrato dai turchi? Basta davvero l’esistenza dei campi a differenziare lo sterminio degli ebrei da quello, ad opera delle armi, degli armeni, da quello attraverso il machete dei tutsi, da quello per fame dei kulaki? Come distinguere, se proprio vogliamo farlo, l’odio contro gli ebrei da quello contro le altre vittime di sterminio, se non li confrontiamo? Come parlare di specificità a priori, fuori da ogni analisi? Le specificità non dovrebbero essere il risultato delle analisi, invece del loro presupposto?

Ma ci arriva una voce diversa, e ci arriva proprio da Israele, e ci arriva non dai soli intellettuali o dal mondo delle Università, ma dall’attuale Ministro degli esteri, Yair Lapid. Ascoltiamo la sua voce, che già ci ha ricordato in un articolo di pochi giorni fa da cui prendo le mosse, Gabriele Nissim: “Gli antisemiti non erano solo nel ghetto di Budapest. Gli antisemiti erano commercianti di schiavi che gettavano schiavi in ​​catene nell'oceano. Gli antisemiti erano hutu in Ruanda che massacravano i tutsi. Gli antisemiti sono fanatici musulmani che hanno ucciso più di 20 milioni di altri musulmani nell'ultimo decennio. […] Gli antisemiti sono chiunque perseguiti le persone non per quello che hanno fatto, ma per quello che sono. Per come sono nati“. Ecco - è stato detto, e per primo lo ha detto Netanyahu - ma non si tratta di un appiattimento della Shoah? Se togliamo alla Shoah la sua unicità, non rischiamo di banalizzarla, di gettarla nell’oblio? L’unicità di cui si parla in queste critiche a Lapid non è quella specificità che risulta dal confronto, ma riguarda solo il fatto che è rivolta contro gli ebrei. Questo genere di unicità, da molto tempo rimossa dai progressi della ricerca storica e di quella sui diritti umani, è quella che ha fatto da background culturale e politico alla legge del 2018 voluta dal Likud che definisce Israele come stato ebraico, legge identitaria oggetto, in passato come all’epoca della sua approvazione, di molte critiche e discussioni. Ad una definizione della Shoah in chiave meramente identitaria si affianca un’identità meramente ebraica dello Stato. Tutto il resto sarebbe banalizzazione in chiave antisemita.

Le parole provocatorie e forti di Lapid non vogliono banalizzare la Shoah, vogliono richiamare i suoi legami stretti con il razzismo. L’antisemitismo è, del razzismo, una specificità, ma chiunque perseguita le persone per come sono nate, ci dice Lapid, è razzista. E, appunto, gli antisemiti perseguitavano gli ebrei per quello che erano, per come erano nati.

Un ultimo punto. Recentemente qualcuno, un candidato al governo di Roma, ha davvero banalizzato la Shoah. Sostenendo di voler parlare di tutti i genocidi ma in realtà per non parlare proprio di genocidi e ancor meno di Shoah. La sua argomentazione non era che bisognava mettere a confronto la Shoah con i razzismi e gli altri genocidi, ma che la Shoah era diventata così importante nella nostra memoria perché aveva avuto come vittime gli ebrei, ricchi e potenti. Questo non era banalizzazione, era mero antisemitismo. Così, i no pass e no vax che paragonano il passaporto verde del COVID ai campi di sterminio non si limitano a banalizzare, ma dimostrano ignoranza crassa e antisemitismo.

Nulla di tutto questo assomiglia sia pur da lontano al discorso di Lapid, al discorso di quanti, storici, filosofi, letterati, analizzano i rapporti tra antisemitismo e razzismo, tra la Shoah e gli altri genocidi. Al discorso di quanti credono che per evitare altri stermini, per combattere l’antisemitismo, non serva chiudersi contro il mondo, avere paura del mondo. Che serva invece riallacciarsi a quella cultura universalistica degli ebrei che ne ha fatto in passato la ricchezza e che ha tratto dall’esterno suggestioni e cultura, offrendo al tempo stesso generosamente all’esterno le sue suggestioni e le sue ricchezze culturali. I rischi ci vengono, a tutti e non solo a noi ebrei, dalla chiusura, dai muri, dal nazionalismo e dal sovranismo che ne discende, non dall’aprirsi al mondo. Capire e combattere, con l’antisemitismo, tutti i razzismi è uno dei modi che abbiamo per cambiare il mondo ed evitare, a tutti e non solo a noi ebrei, altri stermini, altri lutti.

Anna Foa

Analisi di Anna Foa, storica

21 ottobre 2021

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