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"Il Nobel a Narges Mohammadi è un'altra rivincita delle donne iraniane contro l'oppressione"

Intervista a Pegah Moshir Pur, attivista per i diritti umani

Pegah Moshir Pour ha origini curde come Jina Mahsa Amini ed è diventata il volto iconico delle attiviste iraniane in Italia e in Europa, soprattutto dopo aver partecipato al festival di Sanremo con un monologo dedicato alla protesta delle donne iraniane. Nata tra i racconti del poema epico persiano de Libro dei Re, cresciuta tra i versi de La Divina Commedia, oggi è una globetrotter dei diritti umani e digitali. Il 12 dicembre è stata fra gli speaker invitati dal Parlamento europeo per la cerimonia di consegna del Premio Sacharov a Jina Mahsa Amini e al movimento Donna, vita, libertà.

Lei ha cominciato con l’attivismo digitale finché è scoppiata la protesta in Iran.

Sì, mi definisco una ragazza di terza cultura, consulente per i diritti umani e digitali. Dall’anno scorso porto avanti soprattutto la denuncia dei crimini del regime. Come cittadini digitali possiamo usare i social per far capire che non siamo soli né inutili. Che siamo tanti e possiamo chiedere ai politici di fare pressione sul regime, cercare di fermare le esecuzioni, moltiplicare le nostre voci per impedire che le nostre le nostre battaglie finiscano in un cono d’ombra e si traducano in azioni concrete.

Quali dovrebbero essere le azioni concrete?

Bisogna cambiare linguaggio verso il regime, delegittimarlo, senza fare compromessi e chiedere che i Pasdaran vengano messi nella lista dei terroristi perché detengono e controllano le ricchezze del Paese. Il 70 per cento della popolazione ha meno di 30 anni e i giovani iraniani si chiedono perché non possono avere gli stessi diritti dei loro coetanei che vivono in Europa. Anche perché i figli delle famiglie legate al regime riescono a vivere e a studiare nelle università all’estero, senza subire le costrizioni come l’obbligo di indossare lo hijab, mentre in Iran non si può ballare né cantare e sono tutti stanchi di questa ipocrisia. Ricordiamo che ci sono più di venti milioni di poveri. L’inflazione è alle stelle, il Paese è martoriato e le diseguaglianze crescono.

Narges Mohammadi ha preso il premio Nobel per la Pace e sarà omaggiata da Gariwo durante la Giornata dei Giusti dell’Umanità.

Tutto ciò rappresenta l’ennesima rivincita della forza delle donne iraniane. Dopo la protesta scoppiata in Iran nel settembre dell’anno scorso, l’opinione pubblica internazionale ha scoperto cosa faceva e cosa fa la polizia morale sul corpo delle donne, gli abusi e gli stupri. Per troppi anni ci siamo dimenticati di monitorare cosa stava accadendo in Iran. Il premio Nobel a Narges Mohammadi è stato significativo per la sedia rimasta vuota che ci ricorda che deve essere liberata. Ma c’è ancora troppa indifferenza.

Anche al premio del Parlamento europeo Sacharov c’è stata una sedia vuota.

I genitori di Jina Mahsa Amini non hanno potuto venire perché il regime ha imposto loro il travel ban, divieto di spostarsi. Un altro sfregio ai diritti umani. Ho trovato emozionante che il loro avvocato, Saleh Nikbakht, abbia letto la lettera in curdo della madre di Jina che ha chiesto di non fermare la rivoluzione. I curdi rappresentano una minoranza etnica e linguistica perseguitata, perciò è doveroso ricordarla con il suo nome curdo. Quella lettera letta in curdo è stata molto significativa. Il regime continua a violentare le famiglie per cercare di conservare il proprio potere ma non ci riuscirà. Gli uomini e le donne sono alleati nella disobbedienza perseverante perché il popolo iraniano è deciso: vuole la caduta del regime.

In Iran hanno persino arrestato un pescivendolo, Sadegh Bagheri, che cantava e ballava per strada ma il video della sua canzone è diventato virale ed è stato postato da tutti i dissidenti.

Lo hanno bloccato perché "faceva muovere” le persone per vendere la sua merce. Un uomo di 70 anni. Un atto criminale oltre che surreale.

Si tratta della stessa accusa mossa a suo fratello.

Mio fratello era un piccolo genio della musica e suonava uno strumento di percussioni: il tombak. Aveva 4 anni quando è stato scelto da un programma per bambini sulla televisione nazionale. Fra uno sketch e l’altro suonava finché un mullah ha chiamato per chiedere che venisse censurato perché suonando faceva muovere le persone. A quel punto i miei genitori hanno scelto di emigrare perché non avremmo avuto la libertà di seguire i nostri sogni. Io avevo 9 anni. All’inizio non è stato facile accettare che un altro Paese fosse diventata la mia casa.

Ci può essere un’alleanza intergenerazionale e internazionale delle donne che, partendo dai diritti delle donne in Iran, possano portare alla parità di genere?

Ci credo fortemente. Certo, il movimento Donna, vita e libertà è nato in Paese islamico dove le donne subiscono violenze e devono affrontare una repressione feroce ma dobbiamo creare un’alleanza internazionale e intergenerazionale per abolire il patriarcato.

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