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Storia di Annalena Tonelli: la volontaria premio Nansen che per tutta la vita curò le persone in Somalia e Kenya

di Guido Ambroso

Sono filosoficamente un laico, ma se mai ho conosciuto una vera santa, questa era Annalena Tonelli che venne uccisa il 5 ottobre 2003, vent’anni fa.

La incontrai nella cittadina di Borama, in Somalia nord-occidentale, nel 1997. Io mi trovavo nella vicina città di Hargheisa, capitale del “Somaliland”, o Somalia nord-occidentale, ex protettorato britannico, proclamatosi indipendente nel 1991 dal resto della Somalia (ex colonia italiana), ma non riconosciuto come stato indipendente dalla comunità internazionale. Ero lì in qualità di funzionario dell’UNHCR, l’agenzia ONU per i rifugiati, addetto a facilitare il rimpatrio dei profughi somali dai campi nella vicina Etiopia. Il Somaliland si stava appena riprendendo da una piccola guerra clanica interna e pareva molto più stabile del resto della Somalia, lacerata prima da ben più gravi conflitti clanici e poi anche da movimenti fondamentalisti quali Al Ittehad e Al Shabaab.

Annalena aveva creato e gestiva a Borama un ospedale per malati di tubercolosi, ove ogni tanto mandavamo qualche profugo rimpatriato e malato. L’UNHCR aiutò Annalena finanziando la costruzione di un nuovo padiglione dell’ospedale, mente l’UNICEF con medicine. Anche una ONG italiana, COOPI, che aveva una piccola base a Borama, dava qualche assistenza all’ospedale. Ma il grosso dei costi, relativi alla gestione e allo stipendio del personale dell’ospedale, era tutto a carico di Annalena e dei suoi donatori privati, principalmente italiani. Oltretutto Annalena gestiva anche una scuola per sordomuti e addirittura delle lezioni coraniche per i tubercolotici. Pur essendo cattolicissima, in pratica una missionaria laica, Annalena sapeva benissimo che se solo avesse provato a convertire i somali, profondamente mussulmani, avrebbe avuto i giorni contati e non voleva dar adito a dubbi. Parlava molto bene il somalo, conosceva perfettamente gli usi e costumi locali e viveva nell’ospedale con i suoi pazienti. Quindi non aveva nessun secondo fine di utilizzare l’aiuto umanitario per fare proselitismo, se non quello di aiutare i più poveri dei poveri e di predicare la fede con l’esempio.

Annalena Tonelli era nata a Forlì nel 1943 e aveva studiato legge, ma solo per compiacere i genitori perché fin da giovane aveva sentito la vocazione di servire gli ultimi. Nel 1970 partì per il Kenya nordorientale, una zona etnicamente somala, per insegnare l’inglese e poi per aiutare i malati. Col tempo divenne esperta di gestione dei malati tubercolotici (Annalena non era un medico di formazione) e sperimentò la “Directly Observed Treatment” (DOT), una terapia raccomandata dall’OMS per il trattamento della tubercolosi. Nel 1987 si trasferì prima a Belet-Weyne e poi a Merka, nella Somalia centro-meridionale che stava per essere investita da una sanguinosa e interminabile guerra civile dopo la caduta del dittatore Siad Barre nel 1991. Nel 1995, dopo aver subito continui attacchi e soprusi da varie milizie, Annalena decise di ripiegare su Borama, una cittadina povera, ma in un angolo apparentemente tranquillo della Somalia nord-occidentale.

Annalena rifuggiva la pubblicità e la notorietà e preferiva essere al servizio dei poveri nell’ombra, piuttosto che sotto i riflettori dei media. Aveva un aspetto molto fine con un volto che cominciava ad essere segnato dalle fatiche e sofferenze, ma con occhi azzurri dolcissimi e magnetici che ogni tanto si accendevano di una vampata mistica. Poteva essere anche energica con i pazienti che non completavano la terapia contribuendo a sviluppare la resistenza ai farmaci. E faceva battaglie contro le mutilazioni genitali femminili, una piaga purtroppo ancora diffusa in alcune zone del Corno d’Africa e del Medioriente. Nel 2002, due anni dopo aver terminato il mio mandato in Somaliland e essere stato assegnato ad altra sede dall’UNHCR, pensai che fosse un’ottima candidata al Premio Nansen. Il Premio Nansen venne istituito dal UNHCR nel 1954 in memoria del Segretario della Lega delle Nazioni, Fridtjof Nansen, per onorare persone che si sono distinte al servizio di rifugiati, profughi ed apolidi. Ebbi qualche timore che forse Annalena non rispondesse esattamente ai requisiti perché la maggior parte dei pazienti non era costituita, strettamente parlando, da rifugiati, ma da poveri locali, anche se fra di loro vi erano degli ex rifugiati rimpatriati. Ciononostante, dopo un procedimento burocratico e un po’ di lobby interna con l’aiuto di altri colleghi, la proposta di nominare Annalena per il prestigioso premio venne accettata all’unanimità dal comitato presieduto dall’Alto Commissario per i Rifugiati a Ginevra.

Prima di ricevere il premio a Ginevra, Annalena mi scrisse una mail ringraziandomi per il mio contributo aggiungendo che “si sentiva male” all’idea di essere sotto i riflettori dei media e che non aveva nemmeno controllato il riassunto della sua biografia nel sito UNHCR per non togliere tempo ai suoi malati. “In Dio la mia Roccia”, chiosò. Il giorno della cerimonia nel giugno 2003 in un museo di Ginevra, con la partecipazione dell’Alto Commissario, del Presidente della Confederazione Elvetica, del vice-presidente della Nestlé e di altri dignitari, Annalena mi abbracciò prima del suo discorso ripetendomi che si sentiva a disagio davanti a tanta pubblicità, ma che era contenta di ricevere il premio di 200.000 dollari che le avrebbe permesso di continuare a far funzionare l’ospedale per i suoi malati. Ebbi anche una breve conversazione con l’anziana madre presente alla cerimonia, col rossetto e i gioielli (mentre Annalena era vestita con il tradizionale abito e velo da missionaria) che mi disse, “mia figlia è proprio matta, le poche volte che viene a trovarmi a casa insiste a dormire per terra, ma oggi sono veramente orgogliosa di lei!”. Quando Annalena salì sul palco, sembrava una persona insignificante, una “nessuno”, come amava dire lei. Ma quando iniziò a parlare il suo carisma emerse immediatamente, il pubblico ne restò subito ammaliato e il discorso ricevette applausi scroscianti.

Poco più di tre mesi dal suo ritorno in Somalia Annalena venne uccisa con dei colpi di pistola alla testa nel suo ospedale di Borama il 5 ottobre 2003 (il 2003 fu un anno particolarmente sanguinoso per gli umanitari, il 19 agosto un camion-bomba di Al Qaeda in Iraq distrusse l’hotel Canal di Bagdad uccidendo il capo missione ONU, il diplomatico brasiliano Sergio Vieira de Mello, e ventun altri colleghi ONU). Ancora non mi è chiaro se i mandanti dell’assassinio di Annalena siano stati dei fondamentalisti islamici precursori di Al Shabaab o da criminali locali che volevano lucrare sull’ospedale. La popolazione e le autorità di Borama parteciparono in massa ai suoi funerali. Mi resterà sempre il doloroso dubbio che la visibilità ottenuta dal Premio Nansen potrebbe aver in qualche modo contribuito alla sua tragica fine, ma mi resterà sempre anche il suo esempio di dedizione totale ai bisognosi e ai vulnerabili, una fonte di ispirazione per il resto della mia carriera che mi seguirà per tutta la vita.

Annalena, continua a riposare in pace.

L'articolo è stato pubblicato sull'Eco di Bergamo del 9 ottobre 2023

Guido Ambroso

Analisi di Guido Ambroso, esperto di questioni internazionali e umanitarie

11 aprile 2024

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