L'omicidio di Hrant Dink è stato commesso da un'organizzazione criminale, non da individui. È quanto stabilito dalla sentenza della Corte Suprema di Appello di Ankara, dopo un processo durato 5 anni.
I giudici hanno così ribaltato la sentenza di primo grado che aveva condannato gli esecutori del delitto - ma aveva escluso la presenza di un piano criminale dietro l'omicidio - con una decisione che apre la strada a un nuovo processo. "Abbiamo prove forti di un coinvolgimento degli ufficiali dello Stato nella cospirazione, e queste prove sono anche nel rapporto del Procuratore - ha dichiarato Fethiye Cetin, uno dei legali della famiglia Dink - Ora il caso deve essere riaperto".
Hrant Dink, cui è dedicato un albero al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano, era un giornalista armeno, direttore del giornale bilingue Agos. Dalle pagine della rivista Dink si è battuto, nonostante l'ostilità dei nazionalisti turchi, per la ricerca del dialogo tra Turchia e Armenia, finendo così sotto processo con l’accusa di “lesa turchicità”. Il 19 gennaio 2007 l'uomo è stato ucciso da un sicario proprio davanti alla sede di Agos.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato nel 2010 la Turchia
per non aver protetto la vita di Hrant Dink e per aver violato la libertà di espressione
dell'intellettuale. La Corte ha infatti stabilto che Ankara, pur essendo a conoscenza dei piani dei nazionalisti turchi contro il giornalista, non abbia fatto nulla per impedire l'omicidio.
Il processo contro l'esecutore materiale del delitto, Ogun Samast, si era chiuso nel 2011 con la condanna dell'uomo a 22 anni di carcere, ma le responsabilità delle forze dell'ordine
turche erano state ignorate.