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Rohani, un'opportunità carica di aspettative

intervista a Vittorio Emanuele Parsi

In occasione delle elezioni presidenziali iraniane del 14 giugno scorso, Gariwo ha intervistato Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed editorialista de La Stampa, per avere una panoramica dei punti cruciali che il nuovo Presidente Rohani dovrà affrontare. Ecco cosa ci ha detto.


Dopo Ahmadinejad l’Iran ha scelto un moderato, sebbene non un nome estraneo alla scena politica. L’elezione di Rohani è un passo avanti verso un Iran riformista?


Il dato che emerge da queste elezioni presidenziali è l’opportunità colta dalla società iraniana per attestare il proprio distacco dalla linea della Guida suprema, l’ayatollah Khamenei. Dopo la selezione dei candidati eseguita dal Consiglio dei guardiani e il ritiro di Mohammad Aref, il fronte riformista non poteva scegliere altro che Rohani. Gli iraniani lo hanno votato in maniera massiccia, e questo è un segnale importante. Ma è solo un primo passo: se la sua elezione possa effettivamente portare a un cambiamento, è un altro discorso.


Per quanto riguarda la Siria, l’Iran di Rohani cambierà linea sul sostegno ad Assad?

La politica estera e di sicurezza è nelle mani della Guida suprema e dei suoi uomini. La dichiarazione del presidente dell’Assemblea nazionale Larijani, secondo cui l’Iran “non parteciperà a conferenze internazionali dove siederà anche l’entità sionista” sembra fatta apposta per rendere impossibile qualunque mossa a Rohani. Da parte occidentale però deve essere fatto almeno un tentativo di invitare l’Iran nella stanza del negoziato. Senza Teheran infatti la conferenza perde gran parte del suo significato, perché viene a mancare un attore chiave della regione. Se si invita Israele non si capisce perché debba mancare l’Iran, fondamentale per gli equilibri mediorientali. La situazione in Siria tuttavia è in continuo sviluppo: le trattative di pace sono vicine, gli americani hanno dichiarato di voler armare i ribelli dopo la scoperta dell’uso di gas Sarin da parte di Assad. Per capire cosa succederà a Damasco occorre altro tempo.


Rohani nel 2003 è stato negoziatore per il nucleare, e basandosi sulle decisioni da lui prese in passato le aspettative occidentali sono molte. Secondo lei quali spiragli si aprono sulla questione nucleare?

Lo spiraglio è innanzitutto dettato a partire dall’agenda politica domestica. Non va infatti dimenticato che Rohani è stato eletto anche sull’onda delle delusioni dell’opinione pubblica per le condizioni disastrose del Paese, su cui gravano pesanti sanzioni economiche. Oggi è quindi necessario impostare il discorso sul nucleare partendo dalle conseguenze che la società iraniana è stata costretta a pagare per anni. Contemporaneamente è importante che i Paesi occidentali offrano una sospensione anche breve, anche di pochi mesi, di alcune o di tutte le sanzioni, per dare un segnale di apertura a Rohani.


Netanyahu ha dichiarato che rispetto a questi risultati elettorali “non si farà illusioni”. Secondo lei ci sarà un’evoluzione nei rapporti tra Israele e Iran?


La dichiarazione di Netanyahu va di pari passo con quella del Presidente dell’Assemblea nazionale iraniana, sono dichiarazioni della stessa pasta. Aspettarsi grandi cambiamenti dopo l’elezione di Rohani sarebbe una follia, però il dato rilevante è che ancora una volta vediamo la difficoltà israeliana a cogliere i segnali di cambiamento in atto nella regione... È successo con le rivoluzioni arabe, succede ora con le elezioni iraniane.
A complicare il dialogo c’è poi il fatto che a oggi mancano grandi leader politici dotati della capacità di rischiare.


Rohani ha proposto fin dalla campagna elettorale una “carta dei diritti civili” in favore soprattutto delle donne. Secondo lei cambierà qualcosa nello stato di salute dei diritti in Iran, nonostante il potere sia in ultima istanza nelle mani di Khamenei?

Questo dipende molto da quanto coraggio mostrerà Rohani. L’ex Presidente Khatami, che aveva idee certamente più riformatrici, mancava di coraggio e per questo si è fermato di fronte ai durissimi moniti del regime. Certamente la condizione femminile è un vulnus tremendo per il Paese, anche se in Iran le donne hanno un trattamento paradossalmente migliore rispetto ad altri paesi. Bisogna vedere se Rohani sarà capace di imporre la sua linea. In quest’ottica, la leadership personale è molto importante. E presto vedremo i primi risultati della sua presidenza.

18 giugno 2013

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