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Storia del partigiano Alessandro Sinigaglia, a 80 anni dal suo assassinio

di Riccardo Michelucci, in occasione del 25 aprile 2024

80 anni fa, il 13 febbraio 1944, l'antifascista Alessandro Sinigaglia veniva ucciso a Firenze da due fascisti della banda Carità. 
In occasione dell'anniversario della Liberazione, vogliamo ricordare la sua storia insieme a quella di tutti coloro che resistettero al nazifascismo e lottarono a rischio della vita per l'affermazione degli ideali di libertà e democrazia. 

Alessandro Sinigaglia, il patriota meticcio ucciso 80 anni fa dai nazifascisti, fu uno straordinario combattente per l’emancipazione umana la cui vicenda umana e politica è ancora oggi un simbolo di sacrificio, di coraggio, di pluralità. Nato il 2 gennaio 1902 a Fiesole, cittadina alle porte di Firenze, figlio di un ebreo mantovano e di una donna nera, figlia di schiavi, da poco emigrata dagli Stati Uniti, Sinigaglia aveva inciso nel proprio dna un passato di persecuzione e segregazione che era destinato a indirizzare le sue scelte fin dalla gioventù. A partire dal primo Dopoguerra si schierò con convinzione sul fronte proletario e a difesa delle minoranze oppresse. Poco più che ventenne venne richiamato alla leva, in Marina, come sommergibilista, assistendo con disgusto al bombardamento di Corfù nella crisi italo-greca del 1923. Quando fa ritorno a casa trova Firenze in mano ai fascisti ed entra nel partito comunista.

Dopo l’omicidio Matteotti e la svolta autoritaria del regime fascista è costretto a lasciare l’Italia e a iniziare un lungo percorso politico all’estero. Il partito lo invia prima in Francia e in Unione Sovietica, dove nei primi anni ‘30 diventa “emissario”, cioè inviato del Pci in altri paesi. Nel 1935 si sposta in Svizzera finché non viene arrestato a poche decine di chilometri dal confine italiano, forse in seguito a una delazione. Il governo elvetico lo espelle ma non lo consegna all’Italia e ciò gli consente di spostarsi di nuovo a Parigi, dove ha sede il Comitato centrale del partito comunista in esilio. Quando scoppia la guerra di Spagna, nel 1936, parte volontario per unirsi all’esercito repubblicano, mettendo a frutto l’esperienza degli anni del servizio militare in Marina. Viene scelto come tecnico silurista alla base navale di Cartagena, il porto più importante di tutta la Spagna. Lì svolge mansioni delicatissime, prendendo parte alla bonifica del porto di Barcellona minato dai franchisti, all’elaborazione dei piani di battaglia e alle missioni della flotta repubblicana. Lo scontro non è soltanto contro i generali golpisti ma anche con i fascisti italiani che intervengono attaccando le navi con i sommergibili, attuando una guerra di pirateria assolutamente illegale in base al diritto internazionale.

Dopo la vittoria definitiva delle truppe franchiste, Sinigaglia è internato in Francia, finisce nei campi di concentramento per i profughi spagnoli, dove rimane due anni in condizioni di vita terribili. Nell’aprile del 1941 viene tradotto in Italia per essere inviato al confino nell’isola di Ventotene, dove si ritrova a condividere le giornate con figure che faranno la storia d’Italia come Sandro Pertini, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Ernesto Rossi.

Tornato libero nell’estate del 1943, all’indomani della caduta di Mussolini, può finalmente tornare a Firenze, dov’è già iniziata l’occupazione nazista. Il partito comunista affida a lui il compito di coordinare l’attività militare di Resistenza in città e in altre aree della Toscana nel tentativo di contrastare lo strapotere nazifascista in città. Da quel momento in poi, Sinigaglia si dedica anima e corpo al reclutamento delle bande armate e all’organizzazione di una strategia di lotta armata urbana formando i Gap, i gruppi di azione patriottica, che ricalcano un tipo di resistenza armata diffusa in Francia. Piccole cellule composte da non più di quattro persone, ogni gruppo agisce in modo del tutto autonomo ed è dislocato in residenze segrete. Devono compiere azioni rapide e mirate contro obiettivi tedeschi e fascisti, colpire bersagli simbolo per dimostrare che gli occupanti non controllano le città. Sinigaglia sceglie il nome di battaglia “Vittorio” e nei pochi mesi in cui ha la possibilità guidare i Gap fiorentini, dimostra di essere un capo carismatico, tanto che il suo nome figura in cima alla lista dei ricercati delle squadracce fasciste. Nei mesi della Resistenza gravano su di lui responsabilità sempre più complesse: deve impartire istruzioni organizzative, di addestramento militare, gestire il trasporto di armi ed esplosivi, tenere le fila delle comunicazioni interne con i vertici politici e i contatti con gli operai delle fabbriche cittadine.

Nel gennaio del 1944 è ormai diventato da tempo il nemico numero uno dei nazifascisti che controllano la città di Firenze dandogli la caccia in modo forsennato. Dietro a tutti gli attentati organizzati in quei mesi dai Gap fiorentini c’è sempre lui: il partigiano meticcio. L’11 febbraio i suoi uomini lanciano sette bombe contro la sede della Gendarmeria tedesca, nel pieno centro di Firenze, poi compiono attentati sulla linea ferroviaria Firenze-Roma. La sera di quel giorno stesso, però, Sinigaglia commette un’imprudenza che si rivelerà fatale. Va a cena con un vecchio compagno che ha conosciuto in Spagna in una trattoria del quartiere di Santa Croce. È un luogo che frequenta spesso, dove si sente talmente al sicuro da potersi permettere di abbassare la guardia. Esce di casa disarmato ma una spia denuncia la sua presenza nel ristorante. È il colore della sua pelle a renderlo quasi inconfondibile. Due fascisti della famigerata banda Carità, che gli stavano alle calcagna da mesi, lo seguono dentro il locale. Sinigaglia se ne accorge, riesce a uscire e tenta una fuga disperata ma può fare solo pochi metri prima di essere raggiunto da una scarica di colpi d’arma da fuoco che lo fa stramazzare al suolo. I fascisti lo finiscono mentre si trova a terra, agonizzante, e lo depredano portandogli via anche i denti d’oro. Una lapide annerita ricorda oggi il punto esatto in cui i fascisti lo uccisero in quell’imboscata, la notte del 13 febbraio 1944.

La sua tragica fine commosse i fiorentini e dimostrò quanto la sua vita interamente dedicata a un ideale avesse gettato radici profonde. Il suo nome è infatti rimasto legato per sempre alla liberazione di Firenze, cui si arrivò nell’agosto di quello stesso anno, sei mesi dopo il suo brutale assassinio. Una delle principali brigate d’assalto partigiane attive nell’estate del 1944, la XXII bis Garibaldi, fu intitolata a “Vittorio” Sinigaglia (riprendendo il suo nome di battaglia) e passò alla storia per la sua ribellione all’ordine di disarmo imposto dagli alleati e per essere entrata per prima a Firenze la mattina del 11 agosto 1944, giorno della Liberazione.

Alessandro Sinigaglia – cui nel 1958 il Presidente della Repubblica conferì la medaglia d’argento al valor militare alla memoria - aveva vinto la sua battaglia non solo contro il nazifascismo ma anche contro un destino dal segno negativo. Un destino che lui aveva avuto il coraggio di sfidare, lottando fino alla fine per un’emancipazione negata, proprio come avevano fatto i suoi avi neri ed ebrei.

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