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L'esercizio di immaginare per le ragazze di Teheran

di Gabriele Nissim

L’immaginazione, come scriveva Hannah Arendt, è quella capacità della mente che ci dà la possibilità di vivere dentro di noi situazioni che non ci appartengono e che crea un legame di prossimità tra noi e gli altri.
Una cosa è essere informati di quanto accade nel mondo, un'altra è fare uno sforzo di immaginazione per metterci nei panni degli altri.

È questo un meccanismo che ci impedisce di essere semplici spettatori di eventi apparentemente lontani e che ci permette, non solo di superare l’indifferenza, ma di sentire dentro di noi le storie degli altri.
Questo esercizio suggerirei di farlo oggi di fronte alla vicenda delle cinque ragazze di Teheran
che l’8 marzo, nella Giornata internazionale della donna, hanno ballato nel quartiere di Ekbatan, con i capelli al vento, con gli ombelichi scoperti, con il volto libero dal peso opprimente del velo che considerano il loro muro di Berlino.

Proviamo a immaginare la loro gioia quando ballavano assieme, al ritmo di Calm down, una canzone di Rema e Selena Gomez, che nei suoi versi recita: “ Tesoro, calmati. Ragazza, il tuo corpo è nel mio cuore”.

Proviamo a immaginare il loro coraggio quando, in pieno giorno, sono scese in strada e, aspettando che non ci fossero gli occhi indiscreti dei gendarmi, hanno registrato in video la loro danza per la libertà, che poi hanno diffuso su Tik Tok per spronare altre ragazze alla resistenza.

E poi facciamo scorrere nella nostra mente i loro pensieri liberi e la speranza che le sorreggeva in quei pochi minuti, nei quali affermavano il diritto ad essere ragazze normali, padrone del proprio corpo, come lo sono le loro coetanee europee e in qualsiasi democrazia del mondo, che hanno diritto di vestirsi, gioire, ballare, amare, come meglio credono.

E poi immaginiamo l’umiliazione che hanno subìto, quando dopo pochi giorni sono state arrestate, interrogate, chiuse in carcere e, dopo un lavaggio del cervello, costrette a un pentimento forzato e a manifestare la loro sudditanza al regime con un nuovo video, negli stessi luoghi della loro protesta, indossando il velo e lunghi abiti neri tradizionali.

Tutto il quartiere di Ektaban doveva essere, così, informato che quelle ragazze non erano musulmane degne e che infangavano il volere di Dio e l’immagine del paese.

Proviamo a pensare come quelle cinque ragazze si sono trovate a vivere una situazione del tutto opposta. Dalla gioia di potere cambiare il mondo e il loro paese con il loro esempio personale, si sono ritrovate a sperimentare la paura, conoscendo molto bene quanto accade alle donne rinchiuse nelle carceri che subiscono violenza, come punizione per comportamenti che non sono tollerati dal regime. Umiliare le donne disubbidienti è infatti considerato un atto di virtù e di dovere morale da parte delle autorità religiose.

Proviamo a immaginare le reazioni dei loro genitori, dei loro fidanzati, dei loro amici. Quanti hanno espresso la loro solidarietà e quanti invece le hanno accusate di essere sconsiderate. Non c’è, infatti, in queste circostanze, solo la solidarietà, come siamo portati a credere, ma anche una zona grigia negativa, perché il terrore e le punizioni del regime creano viltà e rassegnazione.

Non conosciamo ora i sentimenti di quelle ragazze e cosa potrà succedere nella loro esistenza, come è accaduto a Astiyazh Haghig e al suo fidanzato Mohammad Ahmadi che un mese fa hanno ballato davanti alla torre Azadi, nella piazza centrale di Teheran, e sono ancora rinchiusi in prigione.

Su una cosa dobbiamo però tutti ragionare. Non c’è niente di peggio, per chi lotta per la libertà, dell'accorgersi che la fine della oppressione sembri non arrivare mai. In Iran hanno già conosciuto, nel 2009, la speranza frustrata del grande movimento dell’Onda Verde. Mi ricordo come a Praga, negli anni '80, tanti ragazzi, che avevo incontrato al tempo della resistenza di Havel e di Charta '77 al regime totalitario comunista, mi raccontavano che lottavano con passione, ma purtroppo temevano che non avrebbero mai visto la fine del tunnel dell'oppressione, nonostante tutti i loro sforzi.

Per noi, che viviamo lontani, è forse questo il punto su cui concentrare la nostra capacità di immedesimazione. Dobbiamo diventare messaggeri della speranza. Abbracceremo con le nostri menti le ragazze di Teheran fino alla caduta del muro religioso di Berlino che le opprime, anche se tanti oggi, e purtroppo anche il Papa, rimangono silenti. Per questo ci vogliamo impegnare affinché, nei tanti Giardini dei Giusti, fioriscano tante danze per la libertà e si gridi ad alta voce che a Teheran deve esser possibile un nuovo inizio di umanità per le donne.

Gabriele Nissim, presidente di Gariwo

Analisi di

15 marzo 2023

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