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La memoria come invito alla vigilanza

di Salvatore Natoli

Pubblichiamo di seguito la trascrizione dell'intervento di Salvatore Natoli in occasione della presentazione del libro del presidente di Gariwo Gabriele Nissim, Auschwitz non finisce mai. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi (Rizzoli, 2022), al Memoriale della Shoah di Milano. Una riflessione sullo scopo della Memoria e sul suo rapporto con la Storia. 

Il primo cattivo uso della memoria è la extra-storicità della Shoah. Ossia la dimensione in cui la Shoah e chi la osserva sono resi estranei alla Storia. L’osservatore non è messo in condizione, dunque, di essere cosciente che essa possa ripetersi. Si è trattato, a onor del vero, di un errore per chi non è ebreo, ma anche di un meccanismo di auto-comprensione giudaica della Shoah.

Il libro di Gabriele Nissim insiste con fermezza, soprattutto nella prima parte, su questo concetto, allo scopo di farne un’analisi.

All’interno del grande rischio costituito dalla extra-storicità, vi è la necessità di non trasformare il martirio in privilegio (e ciò vale sia per il mondo ebraico che per quello al di fuori di esso), ossia pensare di essere unici, di essere i soli ad aver patito una determinata sofferenza. Ogni genocidio, infatti, è “specifico”, ma non ne esiste nessuno che possa essere definito “unico”, in quanto ognuno di essi fa parte della Storia.

Proprio questa assolutizzazione della Shoah, tesa a far prevalere il suo carattere extra-storico, ha reso una comunità privilegiata da quella sofferenza, proprio perché unica.

Ciò ha prodotto una separazione ulteriore: “se siamo unici è perché la nostra sofferenza è diversa, più preziosa, non paragonabile a quella degli altri” (a questo tema, sono state dedicate da Gabriele Nissim pagine molto importanti del suo nuovo libro).

Ragionando in questo modo si produce un duplice errore: l’assolutizzazione dell’essere stati vittime è un modo per ribadire l’origine della propria identità e quindi di costituirsi nuovamente come una realtà separata. Si tratta, in breve, di una sorta di paradossale interiorizzazione del punto di vista dell’avversario, il quale, di fronte a questa separazione, vede la conferma del proprio pensiero nei confronti della vittima. Se è essa stessa a separarsi, allora è giusto ghettizzarla.

E, per uscire dal ghetto in cui è stata posta, la vittima deve sottolineare l’unità del genere umano.
Questo meccanismo dimostra quindi come la extra-storicità della Shoah diventi un privilegio che produce, anche involontariamente, una riaffermazione dell’identità e dunque un modo di separarsi.

Tuttavia, nel giudaismo la Shoah non è stata la prima interiorizzazione del punto di vista dell’avversario. Vi inviterei, a tal proposito, a leggere Sulla questione ebraica di Marx, nel quale egli fa un attacco diretto al giudaismo. Il giudeo, infatti, viene da lui descritto come il trafficante, la quinta essenza del borghese. Si parla di giudaizzazione del mondo. Marx, di fatto, interiorizza quel tipo di direzione dell’occulto.

Per uscire da questo processo erroneo, è necessario considerare la modalità con cui un fenomeno genocidario nasce, analizzandolo nella storicità della sua genesi.

Qual è il meccanismo che produce un genocidio?

Vi è una mescolanza di pregiudizio e di interesse, di ideologie e di passioni…

C’è una pagina molto bella del nuovo libro di Gabriele Nissim che analizza il motivo per cui il concetto di Shoah sia stato formulato così tardi; non esisteva, infatti, un nome per definirla. Ciò è avvenuto in quanto chiamare la Shoah per nome avrebbe significato, per diverse persone e a vario titolo, portare alla luce il fatto che le connivenze erano esistite, per pregiudizio o per interesse, nella genesi e nello sviluppo della stessa: un pregiudizio anti-giudaico, ma anche un enorme profitto ottenuto dall’espropriazione dei beni degli ebrei.

Nella Storia, infatti, non vi è solo il tragico, ma anche il meschino ed è difficile dire quale dei due sia peggio. Personalmente, penso il meschino, siamo tutti piccoli e capaci più di meschinità che di delitto.

Per quale ragione nascono le connivenze?
Auschwitz assume in questo quesito grande importanza - non solo alla luce del ricordo del passato, ma anche per il futuro. Osservando come è nata è possibile infatti analizzare come i genocidi si innescano nel mondo. Ognuno nella propria specificità, in quanto tutti hanno una particolare ragione, sono mossi da un certo pregiudizio, che può essere territoriale, di stirpe, clanico…

Dopo il suddetto momento iniziale, l’elemento che accomuna i genocidi è quello per il quale agiscono i Giusti, che Adorno definisce “la pietà per la vita offesa”. Di fronte al genocidio, infatti, è l’umanità tutta ad essere offesa, in qualsiasi luogo e modo.

È doveroso poi sottolineare come tra le specificità dell’Olocausto vi sia il fatto che esso abbia rappresentato nella Storia, fino ad ora, la distruzione estrema. La Shoah non è unica ma è estrema, e si connette con il culmine della modernità: la aziendalizzazione della morte, la sua fabbrica scientifica, il fordismo applicato alle vite umane.

Prima di quel momento, molti popoli hanno inflitto torture tremende, hanno inventato il prolungamento del dolore con la massima raffinatezza, ma nessuno aveva mai prodotto l’industria della sofferenza. La Shoah è dunque un parto malato della modernità. Estremo ma non unico, per il semplice fatto che prima non era possibile.

Oggi, per tornare al nostro quesito, con la potenza tecnica di cui disponiamo, non possiamo permettere che i genocidi sorgano “sottopelle”, senza che ce ne accorgiamo. Ne è un esempio il capillare odio che circola su Internet, che instilla costantemente nelle anime il diritto alla violenza. Una indifferenza al dolore degli uomini che assume caratteristiche peggiori della connivenza; in quest’ultima, infatti, vi è una certa volontarietà, mentre subire una prassi, senza rendersi conto da dove arrivi e da dove arriverà, costituisce una vera e propria circolazione dell’odio. È l’avvelenamento del mondo. Cos’è più genocidio di questo?

E noi lo guardiamo con superficialità…

Il genocidio nasce come un insieme di pratiche diffuse che sembrano innocue o parziali, così attecchisce e sviluppa sensibilità malate, facendo sembrare normale ciò che non lo è. In questo modo, solo quando accade il disastro, si cade nell’errore contrario, ossia quello di fare diventare extra-storico ciò che la Storia ha terribilmente prodotto.
La memoria è, quindi, un invito alla vigilanza, a vedere la Shoah non tanto come ricordo di una memoria privata, ma come possibilità di distruzione immanente dell’umanità nei confronti di se stessa.

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