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Narrazione o storytelling

di Francesco M. Cataluccio

Il raccontare è una delle caratteristiche principali della specie umana sin dai suoi albori e cardine fondamentale dei rapporti tra le persone e della comunicazione e della trasmissione della Memoria. Racconto e Pensiero vanno assieme. Già Platone ci ha fatto vedere come la Filosofia abbia, e il pensiero debba avere, una forma narrativa.

Ogni Giardino dei Giusti è un luogo dove, attraverso gli alberi e le lapidi, si ricordano le storie di persone reali (non santi o, necessariamente, degli eroi) che, in un certo momento, hanno dato ascolto alla propria coscienza e umanità e hanno salvato, a volte anche a costo della propria vita, altre persone, la verità e la dignità. Queste storie vanno raccontate e riraccontate bene perché, attraverso la narrazione, quelle gesta e valori possono ritornare e insegnare a non dimenticare e ripeterle, persino nei piccoli gesti disinteressati della vita quotidiana. Ascoltando quelle storie si impara anche a narrare. È questo un fatto molto importante perché il racconto è il respiro della Vita e l'elemento principale della Memoria.

Il filosofo coreano Byung-Chul Han, nel suo ultimo libro Die Krise der Narration (2023; trad. it.: La crisi della narrazione, Einaudi 2024), sostiene che oggi non ci sia più il raccontare ma lo storytelling (che, letteralmente, significa "narrare una storia", ma si usa ormai come un termine che indica la tecnica, non il contenuto, del racconto). Byung-Chul Han, che scrive in tedesco ed è stato professore di Filosofia e Studi Culturali all'Università di Berlino, è per molti aspetti il continuatore della "teoria critica della società" della cosiddetta Scuola di Francoforte di Horkheimer e Adorno. Soprattutto con il volume Im Schwarm. Ansichten des Digitalen (2013; trad. it.: Lo sciame, Visioni del digitale, Nottetempo 2015), ha avuto il merito di mettere in luce le contraddizioni della società contemporanea, dopo la rivoluzione di Internet. Semplificando, secondo lui i social network hanno trasformato quelli che erano degli atteggiamenti umani altruistici in strumenti per fare soldi: l'ospitalità è diventata Airbnb (“ti do la mia casa e tu mi paghi"); il passaggio in auto in BlaBlaCar; l'amicizia e la comunicazione su Facebook (che è gratis ma permette di "profilare" l'utente e quindi guadagnare con le aziende che cercano di fare una pubblicità mirata).

In questo processo la narrazione è diventata storytelling, ed è anzi elemento centrale di esso. Essa è oggi in piena espansione perché serve a rendere i racconti strumentali e commercializzabili: "ha occupato la scena nella forma di una efficace tecnica di comunicazione". Oggi, infatti, si raccontano storie per vendere le storie. E quindi gli storytelling sono soprattutto una condivisione di informazioni. Vendere storie significa in fondo vendere emozioni: "rendere più appetibili dei dati altrimenti senz'anima". Lo storytelling viene impiegato nel marketing: ha la funzione di trasformare cose prive di valore in "beni preziosi ed emozionanti". Attraverso di esso si aumenta il valore di un prodotto, di un luogo, di una persona... Con le "narrazioni morali" si vende un prodotto facendo credere che esso abbia dietro una bella storia (come, ad esempio, nel "commercio equo e solidale"): si ha la promessa di un sogno, che va ben al di là della realtà del prodotto stesso. Il "consumismo morale", mediato dall'uso dello storytelling, non fa altro quindi che aumentare la considerazione che ciascuno (compratore) ha di sé. Non si raccontano più i fatti o la realtà, ma sogni. Si parla alle emozioni, non più all'intelletto. La conseguenza di questa mercificazione della narrazione (che ha le sue conseguenze più negative in certe operazioni editoriali che si basano su poco contenuto) è che nessuno ascolta più veramente: "siamo immersi in un assordante ronzio che cancella ogni cosa lasciando passare soltanto messaggi superficiali e commerciali".

Durante la prima campagna elettorale di Donald Trump, il giornalista de Il Post Francesco Costa andò a intervistare il responsabile della comunicazione di un Trump che ancora quasi nessuno credeva che avrebbe potuto vincere le elezioni. Quello gli disse con molta sicurezza che Trump avrebbe vinto. E gli fece questo esempio (tipico caso di storytelling!): "un'azienda vuole promuovere un nuovo profumo; tu preparerai uno spot dove si descrive la realtà del prodotto e cercherai di parlare all'intelletto del consumatore con dati e informazioni (questo è quello che sta facendo Hillary Clinton!); io invece metterò la boccetta di profumo in mano a una bella ed elegante attrice seduta in una fuoriserie guidata da un fusto: io venderò sogni e non informazioni (questo è ciò che fa Trump e per questo vincerà!)".

Ma cosa dovrebbe essere il vero racconto? Non solo informazioni ma emozioni che coinvolgono totalmente chi le ascolta. Non credo che esista una descrizione più efficace della forza del racconto di quella che riporta Martin Buber in Hundert chassidische Geschichten (1933; trad. it. I racconti dei Hassidim, Guanda 2021): "Il racconto è più che un’immagine riflessa: l’essenza sacra di cui dà testimonianza continua a vivere in esso. Il miracolo che si racconta riacquista potere. La forza che un giorno operava si trasmette alla parola vivente e opera ancora dopo generazioni. A un rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Ba’al-Shèm, fu chiesto di raccontare una storia. «Una storia – diss’egli – va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto». E raccontò: «Mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Ba’al- Shèm solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie».

Francesco M. Cataluccio

Analisi di Francesco M. Cataluccio, Responsabile editoriale della Fondazione Gariwo

3 aprile 2024

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