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Sarà arrivato il momento di bene-dire il "buonismo"?

di Pietro Barbetta

Proponiamo di seguito il commento di Pietro Barbetta, direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, all'editoriale di Gabriele Nissim "Guardiamo il mondo da un drone per contrastare la cultura del nemico". Il dibattito apre la strada alla seconda edizione di GariwoNetwork, la rete dei Giardini dei Giusti, incontro che verterà proprio sul tema del nemico.

Come scrive Gabriele Nissim, non si tratta di contrastare il nemico, si tratta di uscire dalla logica amico/nemico. A scuola ci hanno insegnato alcuni motti, ce li volevano far apparire saggezze, in realtà si tratta di nefandezze che mostrano la stupidità umana: “Si vis pacem, para bellum”, “La guerra non è altro che la politica con altri mezzi” (Carl Von Clausewitz), “Ogni contrasto religioso, morale, economico, etnico o di altri tipo si trasforma in un contrasto politico, se è abbastanza forte da raggruppare effettivamente gli uomini in amici e nemici” (Carl Schmitt), ecc. Se la prima appare come un’assurda raccomandazione, le altre due sembrano descrizioni scientifiche avalutative, sintesi di profonda saggezza filosofica. Nascondono il trucco, l’imbroglio, si presentano come descrizioni oggettive del reale, al contrario son vere e proprie posizioni guerrafondaie.

Il mondo viene diviso in due: gli amici, quelli che stanno dalla tua parte (qualunque sia) e i nemici, che sono contro di te. Lo spazio per il dubbio, per il ragionamento, per la condivisione è azzerato. Se non sei un adulatore del capo, un radicale (antisemita, nazionalista, sciovinista, comunista, fascista, ecc.), un uomo [sic! un uomo, un maschio!] senza dubbi, un eroe che muore per la causa, sei un traditore. La logica che domina questa politica è la medesima che aveva pronunciato Mussolini, in un paio di slogan: “Il fascismo è tutto il popolo italiano” e, in una sconcia parafrasi dal Vangelo: “Chi non è con me, è contro di noi”. Questo è precisamente il totalitarismo, l’assenza di differenze, il capo è il popolo, identificazione cannibalica.

Un inno alla morte, la scomparsa del soggetto come differenza, l’ideale che si deve essere tutti uguali, cloni l’uno dell’altro, contro gli altri. Risentimento, rancore, odio, come sostiene il rabbino Jonathan Saks: malvagità altruistica. 

Supponiamo che ci sia un gruppo, una comunità, che in generale è privilegiata, di amici che si coalizza contro gli altri. Gli altri non sono comunità, piuttosto vengono visti come orde nomadiche che invadono i territori degli amici, degli amanti di se stessi. Il leader (che in questo caso potremmo tradurre, per assonanza come “il ladro”) si appropria dei sentimenti singolari di ognuno degli “amici/amati/amanti” e li standardizza appunto in risentimento, rancore, odio. Fa credere, con il suo piglio mediatico da “ladro”, che gli altri sono nemici; in altre parole, ci deruba dei nostri sentimenti singolari, li trasforma, li irrancidisce (da rancore).

L’alternativa, che hanno sempre proposto gli oppositori di questa distruttività umana, è agire in antagonismo, all’opposto, adottando paradossalmente gli stessi metodi. Lo sanno bene gli ebrei che hanno vissuto, in contemporanea, un antisemitismo di destra e un antisemitismo di sinistra. La logica: “se ci sono gli altri, allora noi non ci saremo più, tertium non datur”, va temperata dalla logica del terzo incluso, Derrida parlava di politiche dell’amicizia, parlava dell’ospitalità assoluta, aveva proposto un progetto per l’Europa, quello della città rifugio, che, come i conventi antichi, aprisse le porte a chi chiedeva asilo. 

Forse dobbiamo ripartire da lì, dalla relazione di corpi che si incontrano e mostrano le loro ferite: il nazionalista, lo sciovinista, colui che odia e predica l’odio non è altro che una persona ferita, dobbiamo insegnare loro il fascino del Bene, del prendersi cura di sé, ascoltare i minuti particolari, come direbbe William Blake.

L’incidente del ponte di Genova è un esempio di mancata ospitalità, si sono usati i genovesi come “amici” da contrapporre agli imprenditori e ai governi “nemici”. Anziché sbraitare sulle colpe altrui, sarebbe stato importante usare parole di conforto per i genovesi, di condoglianze per i morti, usare un po’ di tenerezza. Invece si è preferito usare i media per urlare a squarciagola, cercare i colpevoli, fare campagna elettorale sulla pelle della povera gente: Eppure tutti lo sanno - i politici dovrebbero saperlo prima di tutti, si chiama “responsabilità” - gridando o no, la giustizia farà il suo corso. Usare, almeno in quel momento, la misericordia, sarebbe stato affascinante, perché, come scrive William Shakespeare: “La misericordia tempera la giustizia”, se Salvini, almeno in quel momento, avesse avuto parole di misericordia, anziché lanciare urla giustizialiste, avrebbe mostrato onestà e statura. Ha perso un’occasione, quando avrà la maggioranza assoluta dei voti italiani, cambierà? O, come il pifferaio magico, ci porterà tutti nel baratro?

“Italiani!” gridava Totò. Il comico oggi è diventato tragico. Però abbiamo ancora spazio per un po’ di ironia. Dopo anni che in Italia si parla male del “buonismo” sarà pure arrivato il momento di bene-dirlo? Siamo stanchi di fare i cattivi! È troppo faticoso! 

Pietro Barbetta, direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia

Analisi di

1 ottobre 2018

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