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Una finestra sull’Iran con Tiziana Ciavardini

alcune domande aperte dopo le elezioni

Tiziana Ciavardini è un'antropologa culturale e giornalista Italiana esperta di Iran, dove ha vissuto per 13 anni e di cui ha intervistato le massime autorità. Abbiamo parlato con lei di alcune questioni aperte dopo l'elezione di Ebrahim Raisi a presidente del Paese e della condizione di mancanza di diritti e libertà degli iraniani, con particolare attenzione ai giovani.

Ebrahim Raisi è stato eletto presidente ma la sua influenza in Iran comincia molto prima… molti commentatori lo definiscono un “esecutore” e c’è chi pensa sarà il sostituto di Khamenei. Sappiamo che fece parte del cosiddetto “comitato della morte”. Chi è quest’uomo, ha avuto modo di sperimentare come viene percepita la sua figura in Iran, dove lei ha vissuto per un periodo? Crede che la crisi economica abbia spinto la sua elezione?

Personalmente non sono rimasta assolutamente sorpresa dall’elezione di Ebrahim Raisi. Si parlava di una possibile vittoria di un conservatore già da anni, e così è stato.

Come sappiamo, Raisi ha vinto al primo turno queste tredicesime elezioni presidenziali ed era un risultato scontato già dalla lista dei candidati - stilata dal Consiglio dei Guardiani - che erano stati ammessi a partecipare a questa competizione. Raisi, che oggi ha 60 anni, era stato già eletto capo della magistratura nel marzo 2019, dopo aver ricoperto varie cariche all’interno del sistema giudiziario iraniano.

Mi trovavo in Iran nel 2017 quando Raisi era candidato alle elezioni insieme ad Hassan Rouhani e, già in quel caso, aveva ottenuto una percentuale di consenso nonostante la vittoria di Rouhani. Questa volta, si può dire che i presupposti erano diversi, nel senso che in tutti questi anni, dalle ultime elezioni di Hassan Rouhani, qualcosa in Iran è cambiato sia per motivi legati alla situazione economica sia per conseguenze legate alle sanzioni che sono state imposta da Donald Trump e, quindi, anche riguardanti l’uscita USA dall’Accordo sul nucleare. Queste condizioni, per quanto anche la popolazione capisse che non si trattava di una questione interna all’Iran ma voluta dall’esterno, hanno creato comunque molto malcontento e ciò ha poi influito proprio sulle elezioni. Bisogna inoltre sottolineare che le elezioni sono state pilotate, il ritiro volontario pochi giorni prima del voto di tre dei sette candidati ammessi, di cui due conservatori, ha sicuramente aperto la strada a Raisi.

È bene comunque - per noi che vogliamo dare un’idea il più possibile chiara del sistema politico iraniano - specificare una cosa: è vero che all’interno del Paese ci sono due grandi linee politiche, quella dei conservatori e quella dei riformisti, ma molto spesso, per esempio, all’interno dello stesso gruppo dei conservatori ne troviamo alcuni che sono pronti ad aprire l’Iran anche a nuove proposte… nei confronti dell’Occidente o degli altri Paesi. Allo stesso modo, nel gruppo dei riformisti, ce ne sono alcuni maggiormente conservatori. Da un certo punto di vista, è uno sbaglio quello che facciamo qui, volendo a tutti i costi catalogare la situazione in due grandi filoni politici. I conservatori, a cui appunto fa riferimento Ebrahim Raisi, si attengono molto ai valori religiosi e, soprattutto, portano avanti quelle che erano le idee khomeniste della Rivoluzione Islamica, mente i riformisti propongono un modello liberista e un’integrazione dell’economia iraniana nei circuiti del capitalismo internazionale. Al di là di questo però, è molto riduttivo inquadrare gli iraniani e il loro sistema politico in queste due grandi compagini: non ci sono solamente queste, ma ne esistono anche molte altre, con molto spazio nell’opinione pubblica, che si avvicinano più a una o all’altra mantenendo proprie caratteristiche.

Come crede si evolverà l’Iran dopo la sua elezione? Ci sarà secondo lei collaborazione anche con le parti più riformiste?

Al momento, con l’elezione di Raisi, non vedo la possibilità di quello che noi in Occidente, e io personalmente, immaginiamo come “cambiamento”, che ha a che vedere soprattutto con la sfera civile della popolazione e quindi anche con una maggiore attenzione sulla violazione dei diritti umani. Bisogna dire inoltre che Hassan Rouhani ha lasciato una presidenza che, per quanto riformista, ha comunque alle spalle più di 4000 esecuzioni che sono state compiute durante il suo mandato (iniziato nel 2013 e poi riconfermato nel 2017).

L’Iran è un Paese imprevedibile, quindi è possibile anche che l’attuale presidente eletto voglia andare verso una direzione di evoluzione, quello che dobbiamo fare ora noi è semplicemente attendere. Ricordiamoci che “cambiamento” e “gioventù” sono stati gli slogan di questa campagna elettorale, anche se purtroppo lasciano un po’ il tempo che trovano nel momento in cui osserviamo il percorso di Ebrahim Raisi nell’arco della sua vita… Come capo nel sistema giudiziario non ha apportato assolutamente nessuna modifica per esempio per quanto riguarda la pena di morte, anche nei confronti dei minori.

Per quello che concerne la collaborazione con le parti più riformiste, non possiamo ancora sapere. A questo proposito è bene ricordare che nella scorsa campagna elettorale, in cui vinse Rouhani, Raisi - proprio perché intelligentemente cosciente che i giovani sono realmente coloro che potrebbero sostenerlo, e non guardando solo alla parte religiosa del Paese - si era avvicinato molto alla parte giovane dell’Iran. Ci sono ancora in circolazione sue foto con un famosissimo rapper, Amir Tataloo (più volte arrestato), completamente tatuato. Sappiamo che per l’Islam, soprattutto per l’interpretazione rigida dell’Iran, i tatuaggi non sono ammessi; Raisi ha voluto quindi, facendosi vedere con Tataloo, lanciare un messaggio chiaro di avvicinamento ai giovani, anche rinunciando al consenso di una parte più conservatrice che dopo questo gesto ha preso le distanze da lui. Questo per spiegare che in realtà, secondo la mia opinione, Raisi potrebbe non comportasi come ci immagineremmo. Tutto quello che appare in questo momento plausibile e scontato, potrebbe non avvenire.

Facendo un passo indietro, l’affluenza alle urne è stata la più bassa di sempre… I giovani iraniani non hanno voluto votare perché le elezioni non sono libere. Come vede questa cosa? Secondo lei è solamente una diretta conseguenza della disillusione rispetto al proprio Paese o c’è un disegno più ampio? Crede che ci saranno delle manifestazioni importanti?

I giovani iraniani sono disillusi, non hanno più fiducia in questo Paese che non fa veri passi avanti ormai da decenni. Dalla Rivoluzione Islamica ad oggi è stato fatto pochissimo per quanto riguarda i diritti umani. I giovani iraniani non sono alla ricerca di qualcosa di straordinario, ciò che desiderano è il raggiungimento della libertà individuale che non hanno in un Paese che continua ancora oggi ad avere molte restrizioni nei loro confronti. Hanno capito in questi anni sulla loro pelle che purtroppo lottare per ottenere questa libertà è spesso controproducente… molti sono stati arrestati, uccisi. Frequenti le impiccagioni di coloro che hanno protestato contro il regime.

I ragazzi e la ragazze iraniani pensano che andare a votare rappresenti una perdita di tempo. Lo abbiamo visto con il secondo mandato di Ahmadinejad. Sono state fatte nel 2009 moltissime proteste, io ero a Teheran e le ho vissute, ho visto che cosa vuol dire andare per le strade a protestare nei confronti di un regime che non dà alcun valore al tuo voto. E questo i giovani dell’Iran lo hanno capito. Gli stessi che avevano creduto nella presidenza di Rohuani che aveva fatto molte promesse poi disattese, come quella di un ministero per le donne. Rohuani si era presentato con la chiave che avrebbe aperto l’Iran al mondo e che invece non ha fatto altro che chiudere le porte delle carceri.

Per quanto riguarda i dati che sono stati riportati, che non so a dire il vero quanto possano essere affidabili, ci dicono che la vittoria di Raisi sia intorno al 62%, con però una scarsissima affluenza dei votanti del 48,8 %, di cui bisogna considerare i 3,8 milioni di schede nulle. I voti che ha ricevuto Raisi sono quasi 18 milioni, ma bisogna considerare che gli aventi diritto al voto in Iran sono 59 milioni. Questo ci fa capire che c’è una maggioranza di Paese che non si riconosce in questa elezione.

Raisi inoltre, durante la campagna elettorale, ha voluto mostrare il suo volto accanto a quello di Khomeini, addirittura si dice che potrebbe essere lui la prossima guida suprema dell’Iran dopo Khamenei. Per tutta Teheran giravano le immagini di Raisi insieme sia a Khomeini che al generale Qasem Soleimani, che come sappiamo è stato ucciso nel 2020 da un drone statunitense. La parte più religiosa del Paese si è quindi sicuramente sentita vicina a Raisi e per questo lo ha votato. È da sottolineare poi che ogni volta che Raisi è stato eletto nella sue varie funzioni Amnesty International ha sempre denunciato il fatto che debba essere indagato per i presunti crimini contro l’umanità che ha commesso nel 1988 con le uccisioni dei dissidenti politici. Egli è stato anche il responsabile delle brutali repressioni durante il periodo dell’Onda verde nel 2009, quando venne rieletto Ahmadinejad e il voto dei giovani che volevano cambiare il Paese non fu considerato.

Qual è la realtà che lei ha vissuto in Iran, è davvero “controllata” come ci viene descritta in Occidente?

Ho vissuto in Iran per 13 anni ed è un Paese con il quale continuo ad avere contatti quotidiani sia per motivi personali che di lavoro. Certamente è uno Stato estremamente controllato su tutto, non c’è libertà di espressione, non si può esprimere sui giornali e nemmeno sui social media quello che si pensa. Le stesse opinioni dei ragazzi e delle ragazze che vorrebbero esprimere il loro malcontento nei confronti di questo regime totalitario sono fermate dalla paura di poter essere arrestati. L’Iran ha un sistema di controllo sui social media molto forte, è stato chiesto più volte agli iraniani di non avere contatti con gli appartenenti alle comunità estere che vivono nel Paese. Io stessa l’ho vissuto. Si cerca di limitare il più possibile il racconto verso l’esterno di ciò che accade nelle famiglie iraniane. Quindi sì, sicuramente è un Paese controllato come ci viene descritto.

È anche però il “Paese dei paradossi”. Da un lato è un luogo meraviglioso, caratterizzato da una grande ospitalità da parte di una popolazione estremamente stereotipata e “ghettizzata” da quello che viene raccontato in occidente sull’Iran. Quando pensiamo all’Iran pensiamo a una realtà dove le donne sono sottomesse, non ci sono libertà, non si può muoversi ed esprimersi come si vuole… ma quello che, noi che lo abbiamo conosciuto, vogliamo anche raccontare è un Paese che non vuole affatto essere quello ci viene descritto. Gli iraniani ci tengono a dimostrare di non essere ciò che emerge, proprio perché molti di loro non sono d’accordo con questo sistema, non sono felici di vivere nella discriminazione ma desiderano cambiare. Questo cambiamento però non riescono ad ottenerlo perché ci sono un sistema totalitario forte e una parte di iraniani che ancora lo sostiene.

Come pensa che l’elezione di Raisi influenzerà la condizione delle donne iraniane?

Sono convinta che Ebrahim Raisi ci possa riservare delle “sorprese”. Non so quanto possa cambiare la condizione delle donne, non credo molto. È pur vero però che Raisi potrebbe decidere, come ex capo della magistratura prima e come presidente dell’Iran oggi, di fare molto per loro ma bisognerebbe conoscere quanta intenzione ci sia da parte sua di voler cambiare, oppure no, l’Iran. Io credo che nessun presidente auspichi a mantenere un Paese sottomesso così com’è, in questa situazione di profondo malcontento, quello che viene fuori è, come dicevamo prima, uno Stato con continue impiccagioni, violazioni dei diritti umani…

Una pedina che Raisi potrebbe manovrare è quella che riguarda l’avvocatessa Nasrnin Sotoudeh, che al momento si trova nuovamente in carcere dopo essere stata fatta uscire il 21 marzo di quest’anno. Ricordiamo che Sotoudeh è l’avvocatessa iraniana attivista per diritti umani condannata a 33 anni di carcere e 148 frustate solo per aver difeso i diritti di quelle donne - anche loro oggi in carcere - che avevano protestato contro il velo islamico. Nasrin Sotoudeh si ritrova in carcere per aver fatto il proprio lavoro, e, di questi anni di condanna, ne sta scontando 12. È possibile, secondo me, che lei venga strumentalizzata nel momento in cui dovesse esserci per esempio un successo nel rapporto con gli altri Paesi - come è accaduto con un giornalista del Washington Post, Jason Rezaian, rilasciato appena siglato l’Accordo per il nucleare - e quindi che venga rilasciata. L’accusa che viene mossa in Iran verso questi giornalisti è quella di spionaggio. Voglio ricordare a questo proposito che c’è stato un altro giornalista iraniano che invece è stato giustiziato - Ruhollah Zam - fondatore del canale Amad news - giustiziato per impiccagione nel dicembre 2020 perché considerato una spia (era stato accusato di crimini contro la sicurezza del Paese).

Ritornando alle notizie sulle donne: non vedo prospettiva di cambiamenti, a meno che non Raisi non voglia fare qualche limitato passo in avanti. Credo che l’Iran e il nuovo presidente si concentreranno su altri problemi: il nucleare, riportare economia a un livello accettabile… E poi c’è anche il Covid, con numero altissimo di decessi e contagi (quelli dichiarati sono fuorvianti rispetto ai numeri reali, per non mettere in allarme la popolazione e non essere costretti a chiudere).

Contemporaneamente, le donne si stanno dando da fare, aprendo associazioni per esempio, ma sono sempre poche e non viene loro data la possibilità. Raisi inoltre non potrà troppo cambiare la condizione delle donne in Iran per non deludere la parte dei conservatori che lo ha votato e che lo ha fatto vincere. Le donne continueranno ad avere quelle vite parallele di cui parlo spesso - una pubblica e una privata, “sacro e profano”. Continueranno anche a studiare, il 60% sono iscritte all’università, poiché sanno che lo studio è la chiave per cambiare il Paese. Dobbiamo puntare su queste giovani, non sul presidente, e vedere se per loro c’è la possibilità di cambiare l’Iran. I giovani iraniani sono stanchi e lo hanno dimostrato con queste elezioni… hanno sbagliato sì, perché hanno dato in mano il Paese a una persona che è già stata accusata di crimini e questo non promette niente di buono. Mi auguro per la popolazione che questo presidente possa dare delle sorprese positive, anche se questo è ancora troppo presto per valutarlo. Dovremo attendere sicuramente quello che succederà con l’Accordo sul nucleare, che è la chiave di volta per questo Paese. Con esso si potrebbero stabilizzare i rapporti con i Paesi occidentali, potrebbero essere rimosse le sanzioni che hanno messo la popolazione in una condizione difficile che ha fatto indietreggiare le classi sociali (chi prima faceva parte della borghesia ora in molti casi è povero, i prezzi sono alle stelle...).

La parola del futuro dell’Iran è attesa, ma deve essere breve, perché sono ormai quarant’anni che la popolazione iraniana aspetta un cambiamento che ancora non c’è stato e che mi auguro ci sarà.

Conosce delle organizzazioni o delle persone che si stanno distinguendo o si sono distinte in positivo per la lotta per le libertà e i diritti nel Paese?

Di organizzazioni che lottano per questo in Iran ce ne sono tantissime. Tra le più grandi, come abbiamo citato, sicuramente Amnesty International, ma esistono anche realtà più piccole.

Personalmente conosco Iran Human Rights, un’organizzazione internazionale per i diritti umani senza scopo di lucro con membri sia all’interno del Paese che fuori. Fondata nel 2005, ha sede a Oslo ed è indipendente, non ha un partito politico e il suo presidente e fondatore è Mahmood Amir Mogdam. Quest’ultimo è spesso venuto anche in italia e ha lavorato con Amnesty proprio per far luce su alcuni casi in Iran.

Sempre nel piccolo, ci sono anche tante persone che mantengono accesa l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani e civili. Mi viene in mente Masih Alinejad, con la quale ho contatti da anni: è una giornalista che lavorava durante il periodo di Khatami e che poi venne mandata in esilio per aver scritto alcune cose contro l’Iran. Ha dato inizio a una campagna che si chiama mystealthyfreedom in cui chiedeva alle donne iraniane di togliersi il velo e di postare la loro foto sui social. La chiamai quando aveva unito nella campagna 2-300 persone e le chiesi “non hai paura che queste ragazze vengano arrestate?”. Fu così infatti. La campagna, nonostante tutto, arrivò ad avere milioni di adesioni, perché le donne, non solo le ragazze ma anche le madri, volevano un futuro diverso. Masih Alinejad ha scritto anche un libro recentemente, The Wind in My Hair (il vento nei capelli) che rimanda a questa sensazione che le donne iraniane non possono provare se non quando sono in un ambiente privato o fuori dal Paese.

La campagna mystealthyfreedom ebbe quindi molto successo e continuò in quelli che diventarono I Mercoledì Bianchi, dedicati alla protesta contro il velo. Ogni mercoledì le donne iraniane andavano in questa via di Teheran (Avenue Enghelab) e si toglievano il velo. Molte di loro purtroppo sono state arrestate e alcune si trovano ancora nelle carceri iraniane: sono le stesse donne difese da Nasrin Sotoudeh. Questo è il sistema di giustizia iraniano, non c’è possibilità di protestare né di difendere chi protesta.

A queste donne coraggiose va tutta la mia stima. Tra di loro c’è una ragazza con cui ho parlato di recente che è riuscita a fuggire dall’Iran. Si tratta di Shaparak Shajarizadeh, una giovane donna attivista iraniana che ha scelto l'esilio per evitare la prigione a causa delle sue idee troppo riformiste. È stata una delle ragazze della Rivoluzione, una delle tante che hanno partecipato ai White Wednesdays ed è stata condannata a due anni di prigione oltre a una pena detentiva, sospesa, di 18 anni nel 2018. Il suo avvocato ha denunciato le torture che Shajarizadeh ha subito nel centro di detenzione di Vozara, le sono state praticate inoltre, con violenza e contro la sua volontà, iniezioni di sostanze sconosciute. Shaparak è una delle poche fortunate che è riuscita a fuggire dall'Iran, prima in Turchia e poi chiedendo e ottenendo asilo politico in Canada, dove vive con suo marito e suo figlio che l'hanno raggiunta solo dopo mesi e con grandi difficoltà.

Altre non ce l’hanno fatta: un’architetta di 36 anni, Nasibe Semsai, voleva raggiungere la Spagna ma poi è stata arrestata all’aeroporto di Istanbul e ora sta scontando la sua condanna. C’è poi una figura a cui sono molto affezionata: Ahmad Reza Jalali, il ricercatore iraniano con doppia cittadinanza svedese che si trova ancora detenuto in Iran e la cui vita potrebbe essere usata come merce di scambio. Ahmad Reza Jalali è stato ingannato: mentre tornava in Iran per un convegno - come aveva fatto molte altre volte - è stato accusato di avere dei contatti con Israele e di aver rivelato delle informazioni sul nucleare. Io sono in contatto con sua moglie Vida, che vive in Svezia, e che ha sempre dichiarato false le accuse contro di lui (è stato forzato usando la tortura a fare una confessione pubblica in televisione). Condannato alla pena di morte, pare che nei mesi scorsi la sua esecuzione fosse imminente. Fortunatamente questo non è ancora avvenuto, e noi, come comunità internazionale, possiamo ancora attivarci affinché questa persona possa tornare dalla sua famiglia e dai suoi figli.

Tiziana Ciavaridini è autrice di Ti racconto l'Iran. I miei anni in terra di Persia, edito da Armando Editore nel 2019

Helena Savoldelli, Responsabile del coordinamento Redazione

5 luglio 2021

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