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I Rabbini per la pace: "Oggi la priorità è il cessate il fuoco"

Giulia Ceccutti intervista Anton Goodman, membro di Rabbis for human rights

«Siamo ancora intrappolati in questo tempo tragico e brutale. È veramente difficile vedere una luce alla fine del tunnel. E soprattutto “navigare” la sofferenza che qui si manifesta su base quotidiana. Personalmente, sento di trarre molta forza dal fare parte di Rabbini per i diritti umani, un’organizzazione che ha una visione certamente legata alla situazione politica contingente, ma che affonda le proprie radici nei valori ebraici del rispetto dei diritti umani e della sacralità di qualunque vita umana».

Anton Goodman, membro dello staff di Rabbini per i diritti umani (Rabbis for human rights), raggiunto a Gerusalemme in videochiamata, spiega in primo luogo che prioritario è ora, per l’associazione, «contribuire a creare una sorta di “direzione morale”», perché «un orizzonte di questo tipo sembra davvero lontano».

Quindi precisa: «Questo è un tema molto sentito dai nostri rabbini: in quale modo le nostre azioni riflettono i nostri valori più profondi in questo tempo di guerra?».

Rabbine e rabbini di correnti diverse

L’organizzazione – nata nel 1988, nel pieno della prima Intifada – ha oggi alla propria guida 160 rabbini e rabbine israeliani che si riconoscono in diverse correnti dell’ebraismo. È stata duramente colpita dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso nel sud d’Israele. Diversi membri hanno vissuto in prima persona quelle tragiche ore. Persone care sono state uccise.

Eppure, già dalle ore immediatamente successive a quei massacri, la linea scelta è stata quella della (pur faticosa) ricerca del dialogo, della nonviolenza e della protezione dei più deboli.

La responsabilità personale

«Certo, la priorità oggi deve essere il cessate il fuoco» – continua Anton – «far arrivare gli aiuti umanitari all’interno della Striscia di Gaza, il ritorno degli ostaggi con un accordo coordinato tra le parti... ma noi non prendiamo questo tipo di decisioni: non abbiamo il potere di realizzare questi importanti passaggi. Però, attraverso azioni su scala più ridotta, possiamo portare alla luce i valori che citavo all’inizio: il rispetto e la tutela di ogni vita umana innanzitutto. Possiamo portare tali valori a esistere. Dunque, gran parte del lavoro che stiamo compiendo al momento va in questa direzione».

Anton illustra così le tre iniziative principali che l’organizzazione sta portando avanti.

Planting justice

Nel corso del mese di gennaio è stato avviato il progetto Planting justice, che consiste nel piantare – israeliani e palestinesi fianco a fianco – alberi di olivo in villaggi palestinesi del West Bank che hanno subito danni a causa della violenza di coloni estremisti.

Ogni venerdì, un gruppo di rabbini e attivisti si reca in uno dei villaggi palestinesi interessati da queste violenze, coordinandosi con la comunità locale. Sono circa mille gli alberi piantati finora.

«Siamo stati di recente, ad esempio, nel villaggio di Burin, a sud di Nablus. Circa un mese fa i contadini di Burin ci avevano mandato un video che mostrava un gruppo di coloni che bruciavano gli olivi del villaggio. La nostra idea, quindi, è stata quella di tornare là e riportare i nostri valori ebraici in risposta a quegli stessi valori che erano stati calpestati in modo orribile. Si tratta di un gesto che per noi ha un profondo significato», dice Anton.

E aggiunge: «Siamo tornati anche ad al-Sawiya, un’altra comunità nella zona di Nablus, dove un paio di mesi fa uno dei contadini, Bilal Salah, è stato ucciso dai coloni mentre stava raccogliendo le proprie olive. Tornare là, piantare alberi insieme, per noi è un messaggio di solidarietà e insieme di speranza per il futuro».

Un simbolo di pace

Anton spiega che all’olivo è affidata un’incredibile ricchezza di significati, sia nella cultura ebraica che in quella palestinese, sia dal punto di vista pratico che spirituale. Oltre a costituire, naturalmente, la maggiore fonte di reddito per gli agricoltori palestinesi, l’olivo sta a indicare il legame con la terra palestinese e, parallelamente, per gli ebrei, la connessione con la terra d’Israele.

È inoltre un simbolo di pace e un albero che vive per centinaia di anni («Dunque, auspicabilmente, che sopravviverà molto oltre la nostra vita…»).

Il ruolo delle diverse fedi

Il secondo aspetto su cui l’organizzazione continua a investire molto tempo ed energie è quello del dialogo interreligioso.

A dicembre, in concomitanza con la festa ebraica di Hanukkah, la festa delle luci, sono stati promossi momenti di preghiera, riflessione e confronto che hanno riunito leader e membri appartenenti a comunità di fede ebraica, cristiana, musulmana. Gli incontri si sono svolti in quattro città d’Israele: Gerusalemme, Haifa, la città beduina di Rahat e una città araba del nord.

«Tali momenti creano uno “spazio sicuro” per l’interazione tra ebrei e palestinesi. La terribile perdita di vite umane che abbiamo subito e stiamo subendo a causa della guerra sta portando nella nostra società anche enormi danni alle relazioni ebraico-palestinesi», osserva Anton. «Questi incontri hanno dato alle persone l’opportunità di riunirsi per condividere ciò in cui credono e trascendere i confini, le linee di separazione che sussistono su base etnica».

Gli aiuti umanitari

Da fine ottobre, infine, Rabbini per i diritti umani ha organizzato un programma di aiuti umanitari per le famiglie più in difficoltà.

Oltre duemila pacchi contenenti cibo e beni di prima necessità sono stati consegnati finora a famiglie palestinesi bisognose nel West Bank, tra i villaggi beduini non riconosciuti nel Negev e le comunità di pastori nella Valle del Giordano minacciate dalla violenza dei coloni.

«Non è semplice – conclude Anton – ma siamo convinti che, insieme, possiamo continuare a costruire la solidarietà, una solidarietà fondata sulla sacralità della vita umana e sul bisogno di pace».

Nella foto di copertina Anton Goodman mentre consegna gli aiuti umanitari alla comunità Jahalin nel deserto di Giudea. Si ringraziano Anton Goodman e Giulia Ceccutti per la gentile concessione. 

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