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Vehbi Efendi (? - 1924)

direttore postale turco e musulmano devoto che salvò numerosi armeni ed assiri dalle marce forzate ospitandoli in casa sua

Vehbi Efendi nasce intorno alla metà del XIX secolo a Savur, città della provincia di Mardin situata nel sudest della Turchia. Dopo aver studiato scienze politiche a Parigi intraprende una carriera d’ufficio all’interno del Consiglio Amministrativo del Ministero delle Poste e Telegrafi dell’Impero ottomano fino a diventare Direttore Postale per il quartiere Dersaadet di Istanbul e Diyabarkir. Negli anni immediatamente precedenti al genocidio armeno prende congedo e si ritira a vita privata finché non viene a conoscenza delle deportazioni delle minoranze etniche che hanno luogo nella sua città natale di Savur ove decide di tornare al fine di aiutare quante più persone possibile.

Nel 1914 nel kaza [distretto] di Savur sono presenti all’incirca un migliaio di armeni, i quali vivono in relativa pace fino al 2 maggio 1915, quando il kaymakam Yaver Bey, in carica dal 15 gennaio 1914, viene deposto per ordine del governatore anti-cristiano Mehmet Reşit Şahingiray e sostituito con Mehmet Ali Bey. Il nuovo kaymakam Ali Bey, che resterà in carica solamente fino all’1 ottobre 1915, inizia immediatamente a mettere in atto il programma di deportazioni e uccisioni di armeni e siriaci ordinato dal governo centrale.
Durante il suo primo tentativo di salvataggio, Vehbi Efendi riesce a sottrarre dai convogli pronti per le deportazioni 87 uomini assiri e 8 donne assire di Qelet [oggi Dereiçi] che nasconde nella sua grande casa a Savur. La villa di Vehbi Efendi si trova infatti strategicamente collocata a Ras-el-Darf sulla via che conduce da Sason [Sasun] a Siirt, sulla stessa strada percorsa dalla carovane di deportati armeni diretti principalmente a Karabhond, fuori da Nusaybin dove donne e bambini vengono gettati in un in un burrone. In un’altra occasione Vehbi viene a conoscenza di un convoglio di deportati fermato e attaccato da briganti che si erano messi a lapidare le donne e costringevano i bambini a consegnare loro i vestiti. Vehbi fa in tempo a correre in aiuto delle donne ferite portandone 20 a casa sua e prendendosi cura del loro stato di salute per i mesi successivi. Alcune delle donne salvate sono suore missionarie domenicane e una di esse, Issa Warina, racconta ai confratelli domenicani Jacques Rhétoré, Hyacinthe Simon e alla consorella Marie Dominique Berré del suo salvataggio da parte di Vehbi. Essi lo riporteranno poi nelle loro memorie.

Vehbi Efendi non nasconde mai la sua attività di soccorso dei perseguitati cristiani. In particolare promette a molti di loro che un giorno sarebbero potuti tornare alle loro case occupate nel frattempo da turchi del luogo e, quando i suoi concittadini vengono a sapere queste informazioni, Vehbi viene denunciato più volte alle autorità, senza che ciò lo dissuada dal proteggere armeni e siriaci dalle deportazioni. Anzi, in seguito a questo avvenimento, Vehbi diventa più creativo, portando al riparo le persone da lui soccorse in grotte abbandonate vicino a Savur per alcuni periodi di tempo e nascondendo i bambini più piccoli all’interno di tandoor, grandi vasi cilindrici utilizzati per cuocere. Queste azioni di bontà e coraggio fanno sì che Vehbi venga presto riconosciuto dagli armeni di Sasun sfuggiti alle deportazioni e ai lavori forzati come un ‘salvatore’, mentre i profughi siriaci iniziano a chiamarlo ‘ebuna’, un titolo onorifico normalmente riservato per il clero siriaco e che significa “nostro padre”. Contrariamente alle autorità ottomane che avevano messo in atto persecuzioni contro le minoranze cristiane presenti nell’impero, Vehbi, da musulmano devoto, educato e rispettoso degli insegnamenti non solo del Corano ma anche della Bibbia, insegna ai suoi figli a trattare sempre le persone con estremo rispetto e dignità indipendentemente dalla loro fede e a non perseguitare il prossimo, anzi ad aiutarlo. Dopo la ribellione organizzata dallo sceicco curdo Said nel 1925 i familiari di Vehbi vengono esiliati a Manisa, nonostante non avessero sostenuto i ribelli e nei successivi 8 anni di esilio la loro grande casa viene svenduta a basso prezzo.

Si stima che Vehbi Efendi sia stato in grado di salvare all’incirca 200 armeni del distretto di Savur e di evitare che la popolazione siriaca del villaggio di Qelet venisse annientata nella sua interezza. Quando Vehbi muore nel 1924 molti profughi che vivevano nella regione si recano al funerale per omaggiare la sua persona e la sua famiglia condividendo le proprie storie di salvataggio grazie al coraggio e alla benevolenza di Vehbi Efendi.

Bibliografia essenziale:

  • Berré, Marie-Dominique. “Massacres de Mardin” in Haigazian Armenological Review, vol. 17, p. 81-106. Beirut, Haigazian University, 1997,
  • Berré, Marie-Dominique. Simon, Hyacinthe. Rhétoré, Jacques. Colosimo, Jean-François (Préfacier). Nous avons vu l'enfer Trois dominicains, témoins directs du génocide des Arméniens. Parigi, Cerf, 2015
  • Donef, Racho. Righteous Muslims during the Genocide of 1915. Sydney, 2010.
  • Gerçek, Burçin. Akıntıya Karşı – Ermeni Soykırımında Emirlere Karşı Gelenler, Kurtaranlar, Direnenler. [Controcorrente – Coloro che si opposero agli ordini, soccorsero e resistettero durante il genocidio armeno] Istanbul, İletişim, 2016.
  • - Gaunt, David. Massacres, resistance, protectors. New Jersey. Gorgias Press, 2006.
  • Kévorkian, Raymond. The Armenian Genocide: A Complete History. London, New York 2011.
  • Rhétoré, Jacuqes. Les chrétiens aux bêtes. Souvenirs de la guerre sainte proclamée par les Turcs contre les chrétiens en 1915 (préface de Jean-Pierre Péroncel-Hugoz, texte présenté par Joseph Alichoran), Parigi, Éditions du Cerf, 2005.

Francesco Moratelli, ricercatore

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