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Tadeusz Pankiewicz (1908 - 1993)

il farmacista che aiutò e nascose gli ebrei del ghetto di Cracovia

Tadeusz Pankiewicz nacque nel 1908 a Sambor, un territorio facente oggi parte dell’Ucraina occidentale, ma al tempo sotto il dominio asburgico. Dopo la fine della Prima guerra mondiale ed il conseguente collasso dell’Impero austro-ungarico, il territorio divenne parte della Seconda Repubblica di Polonia. Il padre decise di trasferirsi a Cracovia già nel 1909, dove aprì la sua farmacia. Ed è proprio a Cracovia che Tadeusz crebbe e stabilì la propria vita, frequentando dapprima la facoltà di farmacia all’Università Jagellonica e iniziando poi a lavorare nell’attività di famiglia. In seguito, nel 1933, la Apteka Pod Orłem (questo il nome della farmacia) passò direttamente a Tadeusz. È proprio questo luogo ad essere uno degli elementi centrali di questa storia, perché quella di Tadeusz non era una farmacia come tutte le altre; si trovava nel distretto di Podgórze, un quartiere nel quale i tedeschi, che avevano invaso la Polonia nel 1939 ed istituito in quei territori il Governatorato Generale, crearono il cosiddetto “ghetto di Cracovia”.

Quando le autorità naziste diedero l’opportunità alle attività di non-ebrei di stabilirsi in altre zone della città, Tadeusz, che non era ebreo, declinò l’offerta dei tedeschi. Preferì rimanere con i suoi clienti, con la sua gente. Di quattro farmacie non gestite da ebrei all’interno del ghetto, quella di Tadeusz fu l’unica a rimanere in attività. Tadeusz riuscì ad ottenere il permesso per sé stesso di poter risiedere all’interno dei locali della farmacia, mentre per le sue dipendenti quello di poter entrare ed uscire dal ghetto per motivi di lavoro. Ma cosa era, precisamente, il ghetto di Cracovia?

La città, che insieme a Varsavia rappresentava il centro nevralgico della cultura polacca, prima della guerra contava una popolazione ebraica intorno alle 60-80mila persone, con 3mila di queste residenti nella zona dove poi sarebbe stato allestito il ghetto. Degli 80mila ebrei, però, la maggior parte venne deportata nei campi di concentramento (e, di fatto, condannata a morte) dalle autorità naziste, determinate a fare di Cracovia una città “razzialmente pulita”, nei primi mesi dell’occupazione. Rimasero solo in 15mila, ammassati in un territorio che ne poteva contenere al massimo un quinto. Vi era un appartamento ogni 4 famiglie e in tanti vivevano per strada, ammalandosi. La farmacia di Tadeusz decise quindi di aiutare chi poteva, la maggior parte delle volte in maniera gratuita.

Tadeusz e le sue dipendenti (Irena Drozdzikowska, Helena Krywaniuk e Aurelia Danek) iniziarono a fornire agli abitanti del ghetto medicinali generici per le più svariate malattie, ma non solo: tra le cose che la farmacia forniva vi erano anche tinture per capelli, che servivano per “trasformare” i più anziani, con i capelli grigi e reputati dai tedeschi inabili al lavoro (e quindi più esposti alla deportazione) in “giovani” con i capelli colorati, oltre a tranquillanti per non far agitare i bambini durante le retate della Gestapo. Presto poi i locali della farmacia diventarono anche un luogo dove fare incontri, scambiare informazioni, tenere riunioni, nascondere oggetti e trovare rifugio. Insomma, non solo una caritatevole azione verso gli indifesi, ma dei veri e convinti atti di resistenza anti-nazista.

Ecco una testimonianza di quel periodo, scritta proprio da Tadeusz nelle sue memorie, poi tradotte in italiano nel libro “Il farmacista del ghetto di Cracovia” (pubblicato dalla casa editrice UTET nel 2016):

Durante tutto il periodo di attività della farmacia, che restò ininterrottamente in funzione per quasi due anni, sia di giorno che di notte, il tempo per noi passava veloce in compagnia dei nostri amici più intimi e dei conoscenti. Partecipavamo alla sofferenza e condividevamo le preoccupazioni degli abitanti, ci interessavamo vivamente a tutte le misure prese dagli occupanti o dalle autorità locali che riguardavano il ghetto e la sua popolazione. In seguito a ogni avvenimento importante, a ogni espulsione, solitamente i nostri amici si rivolgevano in primo luogo alla farmacia. Mi capitava raramente di essere da solo, specie dopo l'orario d'inizio del coprifuoco. Per paura di essere arrestati, molti trascorrevano la notte da me e lasciavano la farmacia solo la mattina seguente passando per il cortile. Dopo ogni deportazione ci rallegravamo per quelli che erano rimasti. Brindavamo alla felicità, e bevevamo per inghiottire le lacrime e soffocare il dolore per quelli che non erano stati risparmiati dalla sorte. In quelle occasioni contavamo chi era partito, chi era stato ferito, chi aveva perso i famigliari più stretti. La farmacia era il luogo in cui si parlava del volere del destino, del concorso di circostanze miracolose, della fortuna toccata agli uni e delle disgrazie capitate ad altri.”

Dal maggio 1942, però, la situazione diventò ancora più critica, con i nazisti che iniziarono le sistematiche deportazioni verso i campi di concentramento degli ebrei presenti nel ghetto. Con l’avvicinarsi della fine, della distruzione totale, Tadeusz aveva un compito in più. Oltre ad aiutare, nascondere e passare informazioni, tutte azioni sempre più difficili a causa dell’aumento della sorveglianza tedesca del ghetto e della divisione di questo in due zone separate, a quel punto Tadeusz doveva anche testimoniare. E doveva farlo da solo, perché alle sue collaboratrici era stato vietato l’accesso al ghetto. Tadeusz era, e sapeva di esserlo, l’unico non-ebreo che stava assistendo a quel massacro di innocenti. Sempre nelle sue memorie racconta una delle azioni del giugno 1942:

Dopo le dieci, in esecuzione dell'ordine impartito, pattuglie del Sonderdienst e delle SS formate perlopiù da quattro uomini ispezionano gli immobili, perquisiscono gli appartamenti, le soffitte e le cantine. Sfondano a colpi di scure le porte chiuse. Intorno risuonano spari. Si sentono urlare cani che attraversano correndo la piazza piena zeppa, si odono richiami, gemiti, i singhiozzi e i pianti di un ultimo addio, della separazione da vecchi genitori, dai figli che non si possono portare con sé: un inferno che sarà impossibile dimenticare. Le persone anziane, soprattutto gli uomini, tengono sotto il braccio, oltre a piccoli fagotti, anche il proprio libro di preghiere con la custodia in velluto spesso riccamente ricamata. Fede e devozione non si sono attutite. "Mio Dio, dove sei?" sussurravano alcuni. "Esiste", rispondevano altri sorridendo dolcemente. "Dio è assente, ma tornerà.”

Tutto questo andò avanti fino al marzo 1943, quando tutto finì, il ghetto di Cracovia venne definitivamente liquidato ed i suoi abitanti divisi tra vari campi (in particolare Kraków-Plaszów e Auschwitz) o fucilati sul posto. Tadeusz continuò fino alla fine a far fuggire bambini, ad aiutare chi ancora si nascondeva, a conservare antiche Torah e preziose opere letterarie. 

Con la liquidazione del ghetto la farmacia perse ogni ragion d'essere. Dopo quei due anni e mezzo mi pareva di trovarmi, anch'io, espulso nel paese dei morti, in una contrada svuotata dei suoi abitanti, in cui i passi di un uomo che vagava per vie morte suscitavano spavento, in cui incontrare un essere vivente dava i brividi. In quelle strade così gremite ancora poche ore prima, in quelle case che erano state sovraffollate, c'era ormai il vuoto. Un alito di morte percorreva le strade, entrava in ogni edificio, in ogni appartamento. Non c'era sicuramente neppure una stanza nell'ex ghetto che non fosse stata teatro di crimini mostruosi. Camminavo in quel rione morto, dopo due giorni di reclusione obbligata dentro la farmacia, ascoltando l'eco dei miei passi. Molti furono testimoni delle scene più macabre, molti vissero cose orribili, ma pochi, senza dubbio, sono coloro che provarono ciò che io provai quel giorno subito dopo l'evacuazione nel camminare lungo le strade morte del vecchio ghetto, piene di cadaveri e coperte di sangue coagulato.”

Alla fine della guerra Tadeusz fu tra i testimoni dell’accusa durante il processo di Norimberga, dove potè portare la voce anche di tutti i suoi amici e clienti che non erano sopravvissuti all’Olocausto. Anche grazie a lui, alcuni responsabili di quell’abominevole strage di innocenti poterono essere condannati.

Il 10 febbraio 1983 venne riconosciuto come Giusto tra le Nazioni dall’Istituto Yad Vashem per aver aiutato gli ebrei del ghetto di Cracovia anche mettendo a repentaglio la sua vita.

Alessandro Colombini, storico

Giardini che onorano Tadeusz Pankiewicz

Tadeusz Pankiewicz è onorato nel Giardino di Vercelli - Parco Iqbal Masih.

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